Christian Barnard, cardiochirurgo e scrittore protagonista di un’epopea
di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)
Se diamo per scontato che ogni autore, luminare della scienza medica, giunto all’apice del successo professionale accarezzi l’idea-ambizione di lasciare ai posteri tracce del suo vissuto, affinché possano “avvalersi” di metodi e tecniche, è certamente indice di saggezza e di apertura verso un futuro che deve continuare. Con questo spirito anche il professor Christian N. Barnard (Sudafrica 1923 – Cipro 2001), pioniere del trapianto di cuore in essere umano a scopo terapeutico, a suo tempo ha dato alle stampe alcune opere tra le quali un’autobiografia e un romanzo: “Una vita” (pagg. 598, Ed. Mondadori, 1969), scritta in collaborazione con il giornalista statunitense Curtis Bill Pepper; e “Gli indesiderati” (pagg. 414, Ed. Mondadori, 1975), scritto in collaborazione con lo scrittore sudafricano Siegfried Stander. Va da sé che quello che possiamo considerare un primo passo letterario del celebre cardiochirurgo, meriti essere “rispolverato” e ri-portato alla luce per questa ricorrenza non solo per conoscere tutte le tappe della sua vita privata e professionale, ma anche per assaporare (magari anche per semplice curiosità) il suo stile letterario che, nel rispetto della traduzione (inglese-italiano) a cura di Attilio Landi e Lydia Lax, il lettore può cogliere numerosi spunti della passionale e vivace personalità del clinico sudafricano. Un lungo percorso di vita e di successi sino al suo apice. Era il 3 dicembre 1967 quando il mondo apprendeva “incredulo” che al Groote Schuur Hospital di Cape Town, un quasi “anonimo” chirurgo di 44 anni per la prima volta trapiantava il cuore di un essere umano in un altro essere umano. Non un miracolo ma il risultato di una lunga attività fatta di ricerca ed esperimenti: tra vittorie e sconfitte e magari anche qualche pregiudizio… Questo tomo è la storia di una vera e propria avventura a tutto tondo: da un’infanzia povera a una giovinezza di studio, non priva di sacrifici tanto che per mantenersi si è trovato a spalare la neve. Costanza e determinazione hanno tramutato il “sogno dell’umanità” in un successo per il proseguimento della vita umana.
Il non meno corposo romanzo “Gli indesiderati” è il suo secondo impegno letterario, a distanza di otto anni dal primo (traduzione inglese-italiano di Mariapaola Ricci Dèttore), in cui i principali protagonisti: un chirurgo e un genetista, bianco il primo nero il secondo, affrontano esperienze che fanno da sfondo come la ricerca, lo studio e l’applicazione tra provette e sala operatoria, ma dominante sembra essere il rispettivo carattere accomunato nella lotta contro la morte. Divisi sin da dopo la laurea la dedizione non ha mai scalfito scelte e risultati, per re-incontrarsi vent’anni dopo con il profondo senso della presa di coscienza, in cui inquietudini e interrogativi si fondono in quella che l’autore rievoca la propria esperienza nella sua precedente autobiografia. Ma Barnard ormai aveva preso la mano della narrativa. Nel 1993 scrisse una seconda autobiografia “The Second Life”, ed altri diversi libri che vale la pena ricordare: “The Donor”, “Your Healthy Heart”, “In The Night Season”, “The Best Medicine”, “Arthritis Handbook: How to Live With Arthritis”, “Good Life Good Death: A Doctor’s Case for Euthanasia and Suicide”, “South Africa: Sharp Dissection”, “50 Ways to a Healthy Heart, Body Machine”.
Personalmente ho avuto l’opportunità di conoscere il prof. Barnard , essendo stato addetto stampa dell’A.I.D.O. al congresso internazionale di Cardiochirurgia per il “30 anniversario del 1° trapianto di cuore. Incontro con i protagonisti”, che si è tenuto a Novara dal 31 ottobre all’1 novembre 1997. In tale occasione lo potei intervistare, e l’intervista fu pubblicata dal periodico La Voce dell’A.i.d.o. Piemontese (di cui ero direttore responsabile), che qui ripropongo volentieri.
INTERVISTA AL PROFESSOR CHRISTIAN N. BARNARD
Il noto cardiochirurgo sudafricano, 74 anni, cordiale e disponibile, ospite della Città di Novara, per il 30° anniversario del suo primo trapianto di cuore in un essere umano, effettuato al Groote Schuur Hospital di Cape Town (Sudafrica). Evento che aprì una nuova frontiera nel campo della medicina, dando inizio non solo ad un periodo di intensa attività clinica e di ricerca, ma anche a profonde riflessioni di carattere etico e morale. Durante una pausa del convegno, ci ha concesso in esclusiva questa intervista.
Prof. Barnard, perché decise di cominciare a lavorare sui trapianti di cuore?
“Avevo già nove anni di esperienza con interventi a cuore aperto: da interventi più semplici a quelli più complessi, sino alla esigenza di effettuare in alcuni pazienti “scambi” di cuori perché non avrebbero mai beneficiato di una terapia medica o chirurgica tradizionale”
Quante volte ha d0vuto subire sconfitte prima di aver pazienti che restassero vivi dopo il trapianto?
“Solo un paziente ha rappresentato un “insuccesso”, anche se è deceduto dopo 18 giorni dall’intervento, mentre il secondo paziente ha vissuto un anno e mezzo; e comunque è deceduto non per problemi cardiaci ma per complicanze polmonari”
Quale è stata la sua reazione a questo primo evento?
“In quel momento non consideravo l’intervento una innovazione scientifica e tanto meno un grande successo medico; ma soltanto una nuova tecnica chirurgica, tant’è che solo dopo il trapianto avevo informato le autorità dell’ospedale… In seguito, però, sono rimasto un po’ dispiaciuto di aver vissuto quell’evento casualmente e di aver dato poca importanza, perché una ditta farmaceutica francese mi aveva offerto 50 mila dollari per i guanti che avevo usato durante l’operazione, invece li avevo già buttati via perché per me non erano così importanti… Avrei voluto veramente presentarne un altro paio e dire: eccoli qua i miei guanti…”
Il trapianto di cuore trent’anni dopo. Cosa significa per lei?
“Allora non si pensava di raggiungere questo traguardo. Oggi, invece, posso dire che è stato un “buon momento” anche perché si è perfezionata la tecnica per salvare la vita a molte persone”
Nel mondo, attualmente sono circa 20 mila le persone che vivono con un trapianto di cuore; ciò nonostante in alcuni Paesi ancora molti sono i pazienti in lista di attesa. Cosa ritiene si possa fare per ridurre il numero delle persone che non giungono al trapianto?
“Educare la popolazione alla donazione di organi e promuovere iniziative come questo congresso; e cambiare le leggi per “facilitare” il compito dei medici per ottenere la debita autorizzazione”
Più volte lei ha parlato di grandi progressi della scienza medica in ambito pediatrico. In futuro possiamo aspettarci ulteriori miglioramenti?
“Ci sono dei piccoli pazienti che non possono essere aiutati con tecniche chirurgiche convenzionali, e sottoporli in tempo utile a trapianto potrebbero certamente trarne beneficio. Ma il problema è che non sono disponibili donatori bambini, e questo perché sono più protetti da traumi, da altre patologie, etc. So di un caso negli Stati Uniti: un neonato sottoposto a trapianto cardiaco. Oggi ha sette anni e sta bene”
È vero che intervenire su un piccolo paziente fa più “impressione”?
“Non direi, perché eravamo già abituati ad intervenire chirurgicamente su neonati e piccoli pazienti con malformazioni cardiache”
Con l’applicazione del cuore artificiale (il Savs: la nota pompa elettromagnetica per il sangue, unico dispositivo di assistenza cardiaca concepito sin dall’inizio come un’alternativa di lunga durata al trapianto cardiaco (n.d.r.) sono in aumento le alternative al trapianto?
“Non c’é alcun cuore artificiale che possa sostituire quello umano; è solo usato temporaneamente affiancandolo a quello malato; ma non è il futuro, se questo è il senso della sua domanda. Il futuro potrebbe essere la manipolazione genetica di donatori animali”
Il problema del rigetto lo ritiene di particolare attenzione o lo si può considerare superato?
“Il rigetto può essere acuto o cronico. Nel primo caso si possono “ritardare” le complicanze… Quello cronico non è superabile per via della distruzione dei tessuti”
Dal suo primo intervento, la ciclosporina ha subito una evoluzione per combattere il rigetto, oppure no?
“La ciclosporina è stata la scoperta più importante per prevenire il rigetto; ha però degli effetti collaterali come la tossicità renale e, per questo, va usata con molta cautela. Gli immunosoppressori non sono comunque la risposta al rigetto perché hanno un ampio “effetto” su tutto l’organismo: abbassando l’immunità il paziente è più predisposto alle infezioni ed a forme tumorali. Il problema è analogo a quello relativo al trattamento dei malati di Aids”
Anche suo fratello dottor Marius, cardiochirurgo, si occupa di trapianti?
“Faceva parte dell’équipe che ha effettuato il primo trapianto. Ha lavorato sempre con me, ed è oggi in pensione”
Qual è il suo pensiero sulle associazioni di volontariato come l’A.i.d.o.?
“Sono certamente essenziali e svolgono un’opera utilissima ampliando la conoscenza del problema delle donazioni, e costituiscono punti di riferimento per potenziali donatori”
Quale il futuro dello xenotrapianto?
“Penso che si possa parlare di futuro se si riuscirà a manipolare geneticamente gli organi di un animale e trapiantarli nell’organismo umano”
Riscriverebbe le stesse cose in un’altra autobiografia?
“Ho scritto una seconda autobiografia: “La seconda vita” (non ancora pubblicata in Italia) che, sostanzialmente, non è diversa dalla prima”
Si sente in qualche modo filantropo?
“No davvero”
Carissimo Ernesto,
anche a nome dei pazienti e volontari dell’ASSOCIAZIONE SARDATRAPIANTI “ALESSANDRO RICCHI”,
un GRAZIE
per questa tua preziosa opera di comunicazione disinteressata e professionale di tematiche come questa che contribuiscono a divulgare la cultura della rinascita a vita nuova con un trapianto.
Gli spunti di riflessione e di ricerca scientifica sono tanti e di grande attualità soprattutto sulla genetica e sulla tematica dello Xenotrapianto ecc.
Un abbraccio
Giampiero
Egregio Giampiero, Tu mi ringrazi, come pure a nome dei volontari della Tua Associazione; ebbene, gradisco tale pensiero ma ritengo doveroso sottolineare che la professionalità fa parte della nostra esperienza, e l’importanza della comunicazione è osservanza da parte di chi ne è preposto. Semmai un grazie alla Redazione e al Direttore Francesca Lippi che sempre accolgono i nostri lavori nella più ampia concezione di libertà e condivisione. Saluti. Ernesto
Sul GRAZIE alla redazione non ci sono dubbi