La Chiesa custode del creato. L’uomo dentro la biodiversità

Recentemente, a Padova, si è tenuto un convegno nazionale di interesse ambientale sul tema: la chiesa custode del creato. E con un taglio prevedibile: per una sana coscienza ecologica Dio al primo posto e l‘uomo custode della sua opera sulla terra”.

La notizia mi ha fatto l’effetto di una sberla. Sorpresa. Fastidio. Indignazione. Mi ha infastidito il ritardo. Mi ha indignato la sensazione di corsa alla prima fila sul palco degli attori storici dell’impegno ambientale (magari sgomitando) e, con posa da primadonna, eclissare tutti gli altri, ignorandoli. E mi ha preoccupato l’ambizione di inaugurare un monologo dottrinale sulla retta prassi ecologica nel consueto criterio di docenza piuttosto che nello scambio dialogico e costruttivo con i movimenti già in campo. In sostanza il timore, ed il sospetto, che il richiamo alla sana coscienza ecologica, diretto anzitutto, presumibilmente, agli estemporanei e chiassosi profeti di una ecologia minore, si trasformi nella trappola accademica dove immobilizzare la gravità e l’urgenza del problema ambientale. Timori a parte, vorrei comunque sottolineare due aspetti di questo risveglio cattolico: la positività e la pertinenza della riflessione della chiesa sul proprio atteggiamento pastorale rispetto la questione ambientale e, d’altra parte, evidenziare la criticità, tutt’altro che marginale, di una premessa che porti a circoscrivere o sigillare gli interessi vitali di tutto il genere umano entro i confini confessionali. Tutti gli uomini e le donne in quanto cittadini ed abitanti della terra, oggi più consapevolmente di ieri, direi, partecipano della stessa vocazione di responsabilità verso la casa comune che ci ospita e ci nutre: la terra. Il grido del pianeta alienato dai suo fini è trasversale a terre e culture. Tutti, indistintamente, siamo toccati ed appellati dall’emergenza drammatica della condizione ambientale. Tutti siamo richiamati alla responsabilità per l’ecosistema vivente. Nessuno escluso. Senza graduatorie di priorità. La vita dell’ecosistema nella sua biodiversità è l’unica garanzia alla sopravvivenza stessa dell’uomo. Tutte le creature viventi hanno la stessa dignità e lo stesso diritto ad esistere. Tutte, indistintamente, sulla terra ed oltre, sono parte di una sapienza creativa che in ognuna di loro ha profuso, stupendamente, specificità ed originalità irripetibili, chiamandole e convocandole ad una solidaria interdipendenza e mutua complementarietà. Tutte sono egualmente essenziali all’armonia ed alla significatività vitale dell’intero cosmo. Come hanno sapientemente intuito gli indiani d’America, l’uomo è dentro la biodiversità. Non al di fuori. Non sopra. È compito e dovere degli uomini e delle donne di ogni terra, al di là di ogni denominazione civile, religiosa e politica, custodire e trasmettere questo immenso e fragile patrimonio di bellezza e di vita. Sono le decisioni politiche che oggi, insieme, avremo il coraggio di prendere e perseguire, a determinare il futuro delle terra. Sarà la fermezza con cui assumeremo nuovi stili di vita compatibili con le risorse fondamentali indispensabili, a bloccare il degrado e salvare l’irripetibile miracolo del pianeta azzurro. Ma, come accennavo, questo aspetto partecipativo che travalica la siepe confessionale appare decisamente in asfissia in ambito pastorale pur salvando, ovviamente, le saltuarie dichiarazioni di principio che ci sono venute dal magistero in questi anni recenti. Transitando nel web mi sono imbattuta in una notizia succosa: l’aidaa ( associazione italiana difesa animali ed ambiente) in una lettera aperta indirizzata al Papa Benedetto XVI ha scritto: Le chiediamo di rinunciare alla stola di ermellino . E, a tale scopo, sta raccogliendo firme. Ma, quello che emblematicamente fa pensare, in termini di divario tra aspirazioni convegniste e prassi pastorale storica, è la risposta ironica data dal cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo: Non ci sono battaglie più importanti da fare? E aggiunge: Va bene difendere gli ermellini ma ci sono creature umane che meriterebbero una difesa prioritaria e nessuno se ne occupa. In questione c’è soltanto la significatività educativa di un gesto-simbolo. Eppure questo non ha trattenuto il cardinale dal rintuzzare: “Io ci vedo il sogno di un rapporto con gli animali che non è ancora alla nostra portata. Se la sentirebbero questi signori di rinunciare a mangiare carne e pesce? E se mangiamo gli animali allora possiamo anche vestircene, non crede?”. Non fa una piega. Anche il sogno di una convivenza fra creature umane diverse non è ancora alla nostra portata. Eccome lo sappiamo bene. A livello storico-civile come nei nostri vissuti personali. E la fraternità evangelica è addirittura un’utopia. Ma questo non ci esonera dalla tensione attiva. È un sogno che perseguiamo, comunque, come postulato civile e come imperativo cristiano. Non ci consentiamo alibi. Ma lo capisco. Lo capisco bene. Intorno alle nostre parrocchie e tra gli spazi più ovvi e più impensati delle nostre città, è di scena un’emergenza umana senza fine anzi, probabilmente destinata ad aumentare. E ristagna sovente nel degrado e nell’anonimia. Il sogno di una convivenza fra diversi? Eccolo! Ed ha il suo prezzo! D’accordissimo! Meriterebbero una difesa prioritaria. Nessuno se ne occupa. Il meglio che si è saputo fare di loro, migranti ed italiani in difficoltà, è stato quello di averli dimenticati nell’ambiente urbano: una incessante e quotidiana teoria di umane eradicazioni sospese e mimetizzate (beffate?) nell’assenza di una politica di contenimento o di accompagno. L’esito? La paralisi e l’impotenza dei singoli dinanzi a tali eventi. Cosa fare per loro? Potrei indignarmi e denunciare il disastro nel vuoto istituzionale più assordante (che coraggio). E poi?. Posso e devo, comunque, guardarmi intorno in questo ambiente alienato. Posso e devo occuparmi di quanto è alla mia portata. Per esempio: occuparmi di una gatta abbandonata e dei suoi cuccioli, acquartierati nel cortile della parrocchia, che un buon sacerdote, (e per le stesse motivazioni addotte del cardinale: ci sono cose più urgenti) porterebbe volentieri a sperdere in montagna …. ma posso comprendere. Poco distante da loro … ci sono e rimangono cose più urgenti. E nel frattempo? Ce ne laviamo le mani? Tragedie umane e criticità del patrimonio vegetale ed animale: per me, due facce dello stessa emergenza ambientale. L’una non esclude l’altra. Mi piace, comunque, l’attestazione del cardinale: va bene difendere gli ermellini ……. è un buon inizio.
Questo la dice lunga su un atteggiamento clericale (fortunatamente marginale, voglio sperare) che guarda con supponenza e sottile sospetto la qualità di fede dei possessori di animali domestici e animalisti in genere in quanto …. potrebbero occuparsi più utilmente e cristianamente delle persone e dei bambini affamati …Un estremismo in questa mentalità? Così un mio amico teologo: se ci fosse anche un solo albero e quello servisse per salvare il bambino, questo va sacrificato! Delirio? No. Epilogo di una progressiva e teologale ecologia sterilizzata. Alla cardinale. Con tutto il mio rispetto. Anche se il dilemma tragico rimane: stiamo scegliendo di portare il mondo all’ultimo albero …. e all’ultimo bambino?.

Ci sono cose più urgenti

Vero! Vero anche che, di demolizione in demolizione, il concetto stesso di ecologia come attenzione integrale alla biodiversità, viene progressivamente idealizzato. Svuotato. Vanificato. Rimane la rincorsa ad una sistematica pastorale omissiva che ha anche lasciato a terra, ahimè, l’onere educativo ad un’etica della responsabilità ambientale. E gli effetti accusatori sono largamente rintracciabili nelle nostre città cristiane (!?!?)… a cominciare dal costume menefreghista di alimentare discariche a cielo aperto e vandalismo sulle nostre strade ed ovunque … dall’incuria per l’asfissia di fiumi e terra … dalla rottamazione dell’etica del lavoro e l’opinabilità della giustizia. Già! Ma questo che ha a che fare con una sana coscienza ecologica teologica? Ci sono cose più urgenti e prioritarie.

Emanuela Verderosa

… traduco: ci sono cose più importanti che sottrarre alla cementificazione boschi e foreste; ci sono emergenze umanitarie, altro che inquietarsi per l’inquinamento dei fiumi o l’avvelenamento dei terreni coltivabili; c’è la fame per molte popolazioni altro che indignarsi per la gasazione di cani in Giappone o fare cagnara per lo sterminio delle balene nei mari del nord o gridare all’orrore per gli usky massacrati in Canada o per i dromedari che faranno la stessa fine. È effimero denunciare allevamenti – lager, vivisezione o diritti degli animali polverizzati se molti uomini muoiono senza ragione.  Sì. L’urgente e prioritario è qui ed ora. Per le piccole scelte come per quelle più impegnative. Urgenza è lasciarsi attraversare dall’amore e dal rispetto per ogni creatura. Indistintamente. Sacrificare come singoli cittadini la cultura del soggettivismo avido e sfrenato che ci distrugge, alla priorità e fecondità del noi collettivo. Urgente è una virata politica che assuma la responsabilità come premessa al recupero delle dimensione morale della questione ambientale e come riumanizzazione della vita civile ed amministrativa. Doverosa è una pastorale che accompagni ai valori ed alle motivazioni che rendano possibile e proficua la vita comunitaria nel nostro ecosistema terra. La capacità, cioè, di transitare dall’io protagonista al noi comunionale.. Al di là ed oltre le nostre pur rispettabili etichette confessionali.

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