Chiedi chi era Grazia Deledda, Rossana Dedola ti risponderà

famiglia Deledda-Madesani

saggio su Grazia Deledda di Rossana Dedoladi Marcella Onnis

Si è concluso da poco più di un mese il 2016, battezzato come “anno deleddiano” dall’Assessorato regionale alla Cultura della Sardegna per celebrare l’80° anniversario della morte di Grazia Deledda e il 90° dell’assegnazione del Nobel alla scrittrice. Numerose le iniziative a tema e, naturalmente, le pubblicazioni, tra le quali “Grazia Deledda – I luoghi gli amori le opere” di Rossana Dedola, che consiglio a chiunque voglia conoscere (meglio) l’unica scrittrice italiana ad aver vinto il Nobel.

Non vi tragga in inganno la poco colta citazione (morandiana)* del titolo: si tratta, infatti, di un’opera seria (ma non seriosa), frutto di un accurato lavoro di ricerca e analisi non solo delle opere di Grazia Deledda, ma anche di sue numerose letteredi cui 86 inedite a corrispondenti esteri – e della “biblioteca di famiglia,” ossia la nutrita serie di libri, per lo più stranieri, letti e posseduti da Grazia e dalle sorelle Giuseppina e Nicolina. Sulla base di queste e altre fonti, Rossana Dedola ha ricostruito il percorso umano e letterario di Grazia Deledda dall’infanzia alla morte, evidenziando in particolare l’interesse e la stima che seppe suscitare anche oltre i confini nazionali. Entro questi, anzi, vale pure per lei il detto Nemo propheta in patria poiché se non le mancarono (e non le mancano) estimatori, ancor meno le mancarono (e le mancano) detrattori, sia nella sua Sardegna che nel resto d’Italia, soprattutto dopo la vittoria del Nobel. Nota è l’ostilità di Pirandello, ma questi non fu certo l’unico collega a non apprezzarla e decisamente ostili furono pure alcuni critici letterari.

Per aiutarci a capire meglio Grazia Deledda, il saggio ricostruisce anche il contesto in cui visse e operò: la tendenziale chiusura della società nuorese a cavallo tra Ottocento e Novecento; il fascismo, con cui tutti gli artisti di un certo rilievo dovettero fare i conti; il fervente clima culturale italiano con i suoi numerosi nomi di spicco, delle cui vite e personalità Rossana Dedola ci regala alcuni interessanti particolari. È così tanta la Storia, tanta l’umanità, in queste quasi 400 pagine che talvolta il lettore si sente portato alla deriva, ma fissando Grazia – stella polare – può agevolmente ritrovare la rotta.

“GREZZA” GRAZIA ETERNA – Parlare di Grazia Deledda significa anche fare i conti con alcuni pregiudizi ed errate convinzioni, ormai piuttosto radicati tra chi la conosce poco o nulla: Rossana Dedola l’ha fatto e ne ha saputo dimostrare l’infondatezza. Chi ne ha almeno sentito parlare sa che studiò da autodidatta e che non era particolarmente colta, ma forse non sa che fu accanita lettrice, soprattutto di autori esteri. E se forse colpiva nel segno chi le rimproverava di avere una cultura varia ma superficiale, grazie a questo libro apprendiamo che era comunque una persona molto curiosa e assetata di sapere. Fu, inoltre, rigorosa nella ricerca delle informazioni, rimarca Dedola: segno innegabile di serietà e professionalità.

opere Grazia DeleddaLa studiosa ci racconta poi di un «talento naturale» e di una scrittura che possiamo definire sì un diamante grezzo, ma pur sempre un diamante: la sua lingua presentava «sgrammaticature che risentono del substrato dialettale da cui non l’aveva ripulita», afferma Rossana Dedola, lasciando intendere che più che di ignoranza – come si tendeva e si tende a pensare – si trattò piuttosto di una scelta consapevole. L’autrice del saggio azzarda, inoltre, che «Probabilmente il fatto di non avere alle spalle un’istruzione scolastica regolare l’ha liberata dalle strettoie del bello stile in cui molti suoi contemporanei si sono arenati».

Ancora, contrariamente a quanto credono alcuni, non narrò solo la Sardegna ma anche Roma (che, assecondando le sue aspettative e premiando i suoi sforzi, ne battezzò l’ascesa), Cervia (dove trascorse lunghe vacanze per più anni) e la Pianura padana (terra d’origine del marito, Palmiro Madesani). Non a caso, infatti, il titolo parla non solo di opere e amori ma anche di luoghi di Grazia Deledda.

Ben messi a fuoco sono, inoltre, i tratti distintivi della sua produzione letteraria, a partire dall’attenzione per la Natura, cui Grazia Deledda era fortemente legata e che considerava una «dimensione sacra di cui l’uomo è soltanto una parte», anche per questo accordando nelle sue opere gli umori della prima a quelli dei suoi personaggi. Oltre che sulla Natura e sulla «sacralità antica» evocata nei suoi scritti, Rossana Dedola si sofferma sul modo in cui Deledda seppe raccontare la «forza degli istinti», rendendosi così universale, potenzialmente capace, cioè, di attrarre a sé i lettori di ogni tempo e luogo. E al lettore distratto che creda di ritrovare nelle sue opere quella tendenza al fatalismo che – a torto o a ragione – si attribuisce ai sardi, la studiosa dimostra che, al contrario, Deledda non manca mai di porre «l’accento sulle responsabilità dell’individuo».

Considerato il periodo storico in cui visse, più che opportuno è stato, inoltre, chiarire che non fu un’autrice politica, neppure nel senso ampio del termine. Fu lei stessa ad affermare espressamente di non voler affrontare nelle sue opere temi sociali, seppure questi vi trovarono comunque spazio, chiamati in causa dalle vicende dei personaggi. L’autrice del saggio ci ricorda, però, che nel 1908 Grazia Deledda inaugurò con Maria Montessori il primo congresso del Movimento femminile italiano. Fu, dunque, una femminista? Probabilmente non si pose neppure il quesito e, semplicemente, cercò la sua indipendenza, la trovò e desiderò la stessa sorte per le altre donne. Che è poi ciò che ogni vera femminista dovrebbe fare.

grazia deleddaNON UNA MA PIÙ GRAZIE – Grazia Maria Cosima Damiana Deledda: se il nome di una persona può influire sulla sua personalità, era scritto che lei non potesse averne una lineare. Questo libro ci racconta di una bimba, ragazza e infine donna ironica e autoironica, appassionata, talvolta sfacciata, fortemente determinata, dotata di grande autodisciplina, abile promotrice di se stessa e della propria arte, incline forse alla malinconia ma meno mesta di quanto le sue storie potrebbero far credere. Da queste pagine emerge, però, anche una certa distanza tra la Grazia privata e quella pubblica, quest’ultima tendenzialmente più laconica e meno sfacciata della prima, seppur non priva dei guizzi sagaci ben noti a chi la frequentava in privato. Viene da chiedersi, quindi, se questa maggior compostezza e riservatezza fosse spontanea o artefatta: Grazia Deledda fu, infatti, instancabile promotrice di se stessa e della sua arte, per cui ben avrebbe potuto studiare alcune pose, per così dire, funzionali a questo fine. Dedola, tuttavia, ci mostra come pure la Grazia privata oscillasse tra audacia e timidezza, tra anticonformismo e obbedienza. Anzi, l’autrice del saggio ritiene che fu proprio la sua timidezza a determinare una certa inibizione in pubblico.

Aveva, quindi, una personalità tutt’altro che lineare, cosa di cui lei stessa era consapevole. Forse, però, non comprese ciò che, invece, appare chiaro a Rossana Dedola, per la quale Grazia Deledda «giganteggia nelle sue contraddizioni, nelle sue aspirazioni e soprattutto nella sua straordinaria capacità di affidarle a una scrittura che riesca a farci guardare oltre, verso grandi sogni e alti ideali pur non dimenticando il lato relativo delle cose».

AMORI CON E SENZA GRAZIA – Di opere e luoghi ho detto: ci restano gli amori. Confesso che quanto raccontato in questo campo da Rossana Dedola mi ha molto appassionata, divertita e anche stupita. Considerati il tatto e l’accuratezza con cui gli episodi in questione sono narrati, più che di “gossip” credo si possa parlare di una “cronaca rosa ragionata”, non cioè fine a se stessa ma posta in rapporto con altri fatti della vita di Grazia Deledda e con le sue opere. Come già nel saggio “Pinocchio e Collodi”,  inoltre, è soprattutto in questi passaggi che Dedola riesce a infondere brio e umanità al rigore scientifico, senza mai perdere autorevolezza.

Da lei apprendiamo che Grazia Deledda manifestò presto un’aspirazione all’indipendenza, un desiderio di emancipazione nei confronti della sua famiglia e della società in cui viveva, che intrappolavano le sue aspirazioni artistiche e il suo desiderio di vivere un’esistenza piena. A primo impatto, pertanto, appare curioso il contrasto tra questa sua modernità e la sua smania di trovare marito, rimarcata anche dall’amico Angelo De Gubernatis. Una smania che le fece compiere anche scelte bizzarre, incoerenti, ridicole, scaltre e /o spregiudicate, almeno per una donna di quei tempi.  Tuttavia, sono proprio alcuni di questi comportamenti e pensieri, talvolta opportunistici (quelli di cui ancora oggi tendiamo a non credere capaci le donne), a suggerire già la chiave di interpretazione: che, cioè, trovare marito fosse per lei l’unico modo per spiccare il volo e allontanarsi dall’ambiente chiuso della sua famiglia e di Nuoro in generale.

A questo obiettivo ci arrivò, ma fino a quel momento la sua vita sentimentale fu piuttosto vivace. Tra gli incontri significativi c’è quello con il già citato Angelo De Gubernatis, con il quale ebbe un amore epistolare e platonico, ma che contribuì molto alla sua crescita artistica. Raccontandoci di questo rapporto, inoltre, Dedola riscatta dall’oblio una figura meritevole di memoria non solo per il ruolo che ricoprì nel panorama culturale del tempo, ben oltre i confini italiani, ma anche per l’aver dato un contributo attivo per l’emancipazione femminile, tanto che l’autrice lo definisce «antesignano della parità dei diritti tra uomo e donna». Non altrettanto onore sembra, invece, meritare Stanis Manca, non tanto perché rifiutò l’amore di Grazia quanto per il modo in cui lo fece, senza peraltro dar modo a lei né a noi di capire se davvero fosse disinteressato o piuttosto semplicemente pavido, inetto o chissà che. Grazia Deledda soffrì molto per questo rifiuto, forse più per orgoglio ferito che per il sentimento non ricambiato. Anni dopo affermò di averlo perdonato, ma nel caso non improbabile in cui, sotto sotto, ancora desiderasse vendetta, grazie a Rossana Dedola credo proprio che l’abbia avuta.

famiglia Deledda-MadesaniL’uomo che, però, più di tutti incise sull’esistenza di Grazia Deledda fu suo marito Palmiro Madesani, compagno di vita e di lavoro in qualità di suo agente, traduttore, segretario… L’impressione, inizialmente, è che Grazia si sia aggrappata a questa nuova conoscenza per coronare il suo sogno di gloria più che d’amore o che, comunque, fosse attratta, più che da lui, dal suo modo di amarla. Proseguendo nella lettura, però, in particolare leggendo le parole con cui lei parla di lui, emerge sempre più nitidamente un rapporto bello e solido tra due persone complici, che condividono lo stesso umorismo e che ironizzano l’uno sull’altro come solo chi si ama e si stima davvero può fare. Un rapporto armonioso in cui le pari opportunità sono un dato di fatto e non una dichiarazione di intenti. E non sembra proprio che Pirandello cogliesse nel segno soprannominando Palmiro Madesani “Grazio Deleddo”: l’impressione è, infatti, che questi non vivesse affatto di luce riflessa, ma che semplicemente sostenesse sua moglie e il suo lavoro perché ci credeva. Né la sua appare una personalità debole, anzi, questo libro ci racconta di un uomo brillante e molto portato per le pubbliche relazioni, perfetto, appunto, come manager di sua moglie.

Meritano infine, di essere ricordati altri due amori importantissimi nella vita di Grazia Deledda: i figli Sardus, di cui il libro riporta qualche letterina inedita, e Francesco, detto Franz e da lei chiamato talvolta Franzolone. Dalle lettere in cui parla dei figli o a loro si rivolge emerge un rapporto profondo, affettuoso, franco e – mi verrebbe da dire – moderno.

LASCIARSI TOCCARE DALLA GRAZIA – L’eredità letteraria ed umana che Grazia Deledda ci ha lasciato è davvero vasta e ognuno, volendo, può farne proprio almeno un pezzetto. Quanto a me, ne prendo uno dalla donna anziché dalla scrittrice, quindi da una lettera e non da un romanzo o novella: «Il nostro grande affanno è la lenta morte della vita. Perciò dobbiamo cercare di trattenere la vita, di intensificarla, dandole il contenuto più ricco possibile».

 

*Chiedo scusa per l’errata attribuzione del brano “Chiedi chi erano i Beatles” a Gianni Morandi, che l’ha sì incisa anche lui ma non per primo: si tratta, infatti, di un brano degli Stadio che – almeno questo lo ricordavo correttamente – ne sono pure autori. Ringrazio la mia amica Maria per avermelo fatto notare.

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