Burnout, un malessere psicosociale

Christina Maslach

di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)

burnoutÈ indubbio che curare gli altri “fa male”, tanto da incorrere in vari disturbi come la depressione, l’abuso di psicofarmaci, l’apatia per il proprio lavoro o anche l’abbandono dello stesso. Ed è altrettanto noto che gli operatori più colpiti dalla Sindrome di burnout (dall’italiano “bruciato”) sono soprattutto gli operatori sanitari, in particolare chi lavora in Oncologia medica, nelle Rianimazioni, in Chirurgia d’urgenza (P.S.), nei reparti e/o ambulatori di Psichiatria. Tale sindrome consiste in un esaurimento delle emozioni e in una riduzione delle capacità professionali che si esprimono in una serie di sintomi: somatizzazioni, apatia, eccessiva stanchezza, risentimento, propensione agli incidenti, etc., il cui approfondimento è certamente di competenza degli esperti in materia. Personalmente, quale divulgatore medico-scientifico, vivendo a volte in diretta l’esperienza con i sanitari, ho potuto constatare alcuni casi (sia pur non conclamati), oltre ad aver pubblicato qualche anno fa un’inchiesta sul problema di quando il medico si ammala, ovvero quando “passa dall’altra parte”; esperienze dai tratti significativi sia dal punto di vista delle patologie che dei risvolti psicologici che hanno coinvolto i vari “protagonisti” colpiti da patologie importanti, che probabilmente in alcuni casi si sono intensificate a causa di stress… se non addirittura per pregressi episodi di burnout.

Il burnout è apparso la prima volta nel mondo dello sport nel 1930, per indicare l’incapacità di un atleta, dopo alcuni successi, di ottenere ulteriori risultati dalle sue performances e/o mantenere quelli acquisiti. E proprio in questo ambito tale disturbo è “attivato” dallo svolgimento di un’attività sportiva tale da impegnare l’atleta nel corpo, nella mente e nello spirito, e che superata una certa soglia, ne consegue lo stato di esaurimento psicofisico ed emozionale. Ma è solo dagli anni ’70 che questa sindrome trova riscontro (soprattutto negli Stati Uniti), in riferimento alla sua manifestazione e quindi in aiuto a soggetti impegnati in diverse professioni: medici, infermieri, poliziotti, vigili del fuoco, assistenti sociali, insegnanti, psicologi, psicoterapeuti, assistenti domiciliari, educatori di comunità per disabili, ma anche i caregiver che assistono un malato cronico spesso grave, etc.; e va inoltre detto che le conseguenze a volte ricadono anche sugli assistiti.

Uno dei più autorevoli esperti in materia è Christina Maslach (1946),  professore emerito di Psicologia presso l’Università della California a Berkeley. Nel 1967 ha ricevuto la sua bachelor degree (“magna cum laude”) nelle relazioni sociali di Harvard-Radcliffe College nel 1967, e nel 1971 le è stato riconosciuto il Dottorato di Ricerca in Psicologia presso la Stanford University (California). Da allora ad oggi ha svolto una intensa attività di ricerca in vaste aree all’interno della psicologia sociale e sanitaria. Ma è ancor meglio conosciuta come tra i ricercatori pionieristici sul burnout del lavoro, dando diffusione dei suoi lavori attraverso numerosi articoli, e pubblicazioni editoriali su questa sindrome, ad esempio, il costo della cura, sviluppi nella teoria e ricerca, la verità su Burnout, prevenire il Burnout e costruzione Engagement: un programma completo per il rinnovamento organizzativo. Ha inoltre dato alle stampe “Bando Burnout: sei strategie per migliorare il vostro rapporto  con il lavoro”. La professoressa Maslach è inoltre fondatrice e co-direttrice (con Michel Leiter) della e-Journal Burnout Research del 2014. Ha ricoperto diversi prestigiosi incarichi, ed ottenuto numerosi riconoscimenti in ambito accademico, uno per tutti: nel 2013 il riconoscimento alla carriera nell’ambito del lavoro-stress, valorizzando una vita di contributi eccezionali per una migliore comprensione delle cause, effetti e prevenzione di stress sul lavoro.

Christina MaslachLa Maslach (nella foto) nello specifico definisce il burnout come «la sindrome da esaurimento emotivo, spersonalizzazione e riduzione delle capacità personali che può presentarsi in soggetti che per professione si occupano della gente…, reazione alla tensione emotiva cronica del contatto continuo con esseri umani, in particolare quando essi hanno problemi o motivi di sofferenza». Da tempo il suo attuale orientamento professionale si sta concentrando sullo sviluppo di un modello concettuale del processo burnout, che articola i rapporti fondamentali tra personale, sociale e variabili contestuali, il cui approccio è volto a valutare l’interazione tra persona e situazioni variabili sul posto di lavoro. La sua concentrazione riguarda in particolare l’antitesi positiva del burnout, l’impegno di lavoro come un quadro migliore per lo sviluppo di interventi. È in contatto con colleghi di tutto il mondo per stabilire traduzioni della MBI e di altre misure standard, in modo da poter sviluppare un consistente programma di ricerca cross-culturale. L’MBI (Maslach Burnout Inventory), sviluppato nel 1981 dalla stessa Maslach con la collega Susan Jackson, è un questionario di 22 item (elementi), ognuno con 6 gradi di risposta su scala Likert, atto a valutare il livello di burnout di un individuo. Vari studi hanno dimostrato che il burnout è più un problema del contesto sociale nel quale l’individuo opera. Quando l’ambiente di lavoro non riconosce l’aspetto umano del lavoro – precisano Silvana Sabato e Rosangela Caruso, rispettivamente psicologa e psichiatra dell’Università di Ferrara – il rischio di burnout aumenta. La difficoltà di misurarsi con le proprie emozioni e di conseguenza il non riconoscere il problema con conseguente sentimento di rassegnazione rispetto alla vita sono manifestazioni ben evidenti. Inoltre il burnout non è un problema che riguarda solo chi ne è affetto, ma è una “malattia contagiosa” che si propaga in maniera altalenante dall’utenza all’équipe, da un membro dell’équipe all’altro e dall’équipe agli utenti e può riguardare quindi l’intera organizzazione». L’argomento si presta certamente ad ulteriori e specifici approfondimenti, sia di tipo clinico che psico-sociale, ma credo che per il lettore sia sufficiente questa sintesi e, prolungarmi oltre, non rientrerebbe nelle mie competenze di divulgatore.

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