Barriere architettoniche: una strada ancora in salita

Non bastano le leggi, ci vuole anche buon senso civico e rispetto di tutti.
Sono le barriere psicologiche le più alte e difficili da abbattere
di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)
Una mobilitazione generale, una dichiarazione di impegno non generica contro le barriere architettoniche, contro il disimpegno, l’indifferenza, e soprattutto l’abitudine di evidenziare nei disabili “solo ciò che a loro manca” e non ciò che hanno, potrebbe essere (anzi è) il monito più “democratico” rivolto (oggi più che mai) a quei politici il cui senso del dovere pare essere un atteggiamento confinato negli antri più oscuri. Tuttavia, bisogna ammettere che nel nostro Paese i provvedimenti legislativi non mancano. Dopo oltre mezzo secolo di lotte rivolte al superamento delle barriere architettoniche, l’Italia da un punto di vista legislativo e dei principi, è a pari livello degli altri Paesi occidentali socialmente più avanzati. La materia è disciplinata dal DPR n. 384 del 27/4/1978, giunta a otto anni di distanza della legge n. 118 del 30/3/1971 (art. 27), che riguardava principalmente gli edifici pubblici. Per gli edifici privati il settore non presentava nessuna normativa sino al 9/1/1989, con la promulgazione delle legge n. 13 che prevede la “Disposizione per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati”, modificata e integrata dalla LN n. 62 del 27 /2/1989 cui fanno seguito il DM n. 236 del 14/6/1989 (contenente le norme tecniche) e la Circolare esplicativa n. 1669/UL del 22/6/1989. Ulteriori disposizioni sono enunciate nella Legge n. 104 del 5/2/1992, nel DPR n. 503 del 24/7/1996 e nella Legge n. 17 del 28/1/1999. La legge nazionale prevede sì contributi per superare le barriere nelle abitazioni dei disabili ma, se una volta effettuato l’intervento “correttivo” e di ripristino della accessibilità la persona dovesse cambiare abitazione, tutto, per quanto riguarda l’eliminazione delle barriere, ricomincerebbe da capo; mentre i cittadini normodotati dovranno comunque tenersi le barriere che li costringono ad una dispersione di forze gravosa ed inutile…
Con il termine barriere architettoniche si intende tutti gli ostacoli di natura costruttiva ed impiantistica che limitano e impediscono un agevole uso delle strutture e delle infrastrutture territoriali, urbane ed abitative a tutte le persone che, per diversi motivi, sono temporaneamente svantaggiate nei movimenti. Ma il problema, a mio avviso, non è l’interpretazione della terminologia, bensì l’applicazione delle leggi, recepite in modo assai diverso (o assente) dagli Enti pubblici. Infatti, sovente si riscontrano differenze tra regione e regione nell’attuazione delle barriere e all’interno di una stessa regione e in settori pubblici di una stessa amministrazione, in quanto gli edifici pubblici appartengono amministrativamente ad Enti diversi. Dai diversi censimenti fatti in diverse realtà italiane, risulta che sono ancora molti i siti e le sedi che necessitano interventi adeguati; e anche se le diverse associazioni hanno sempre fatto sentire la loro voce, la “accessibilità” a strutture pubbliche e private rimane a tutt’oggi una chimera. Un sogno che richiede un lungo “risveglio” per poter eguagliare la realtà italiana a quella di maggiori paesi europei, non dal punto di vista legislativo ma da quello applicativo, e quindi della civiltà e del reciproco rispetto.