“Archeologia sotto le stelle”: un’importante iniziativa culturale a Dolianova (CA)

Riceviamo e pubblichiamo:

 

Pierluigi Montalbano : l’archeologia della Sardegna  bene comune     

UN POPOLO CHE NON CONOSCE LA SUA STORIA E’ UN POPOLO CHE NON HA FUTURO

 
Talvolta l’invito di un amico per partecipare a una manifestazione può nascondere qualcosa di bello e misterioso che non ti fa pentire di aver accettato e , francamente, è quello che mi è successo cogliendo l’invito rivoltomi tramite Facebook da Doriana Onida, neo Presidente della Associazione culturale Parteolla di Dolianova. Questo social network ha ormai acquisito il pregio di diffondere “low cost” tante notizie e, allo stesso tempo, entrando nella casa di tutti,di informare tantissime persone in tempi rapidi.

A Dolianova, come in tanti Comuni della Sardegna, non è facile proporre attività culturali con la garanzia di successo, soprattutto in un periodo di crisi economica come quello che stiamo vivendo, ma in questo caso bisogna riconoscere che la presidente Doriana Onida è riuscita nell’intento. Questo anche grazie alla collaborazione con la famiglia Locci, titolare del Museo dell’olio “Sa Mola de su Notariu” e allo splendido supporto scientifico del dr. Pierluigi Montalbano, scrittore oltre che amante dell’archeologia e della storia dei sardi.

È proprio grazie a questo eccellente divulgatore culturale che l’associazione parteollese ha organizzato una serie di seminari sulla storia dei sardi e della Sardegna che, da un punto di vista culturale, non hanno nulla da invidiare ai paludati convegni sviluppati in terra sarda da affermati archeologi. E, per la fortuna dei presenti, le serate si concludevano con una cena “frugale” anch’essa a basso costo (10 €), preparata dai soci dell’associazione sia a fini di auto-finaziamento delle attività sia per favorire la socializzazione tra i partecipanti.

A pensarci bene, in un mondo che corre veloce e in cui la cronaca ingiallisce dopo 24-48 ore, è bello istruirsi, conoscere tante cose nuove e, allo stesso tempo, passare una bella serata in un sabato d’estate, in compagnia di persone conosciute nel luogo dell’evento. Una cosa, questa, abbastanza difficile oggi, se si pensa ai ritmi della città e alla distanza tra le persone, colmata solo in parte proprio dai social network.

Certo è difficile sintetizzare e raccontare in poche righe le cose che Pierluigi Montalbano ci ha descritto in maniera mirabile e semplice, con l’aiuto di un p.c. che proiettava su uno schermo delle immagini che accompagnavano ogni suo dire e che rendevano il messaggio molto espressivo e di facile comprensione. Una scelta frutto sicuramente di una tecnica collaudata di comunicazione con il pubblico, che in questo caso era variegato e di diversissima estrazione culturale, ma attentissimo a ogni lezione e sempre più numeroso di appuntamento in appuntamento.

Vorrei solo ricordare le cose che più mi hanno colpito dei tantissimi argomenti affrontati, che hanno spaziato dall’architettura funeraria degli antichi sardi alle tecniche di costruzione dei nuraghi e all’opera collaborativa delle comunità nuragiche (ad esempio la pianificazione degli interventi), dalle ceramiche alle navi, alle rotte e ai commerci, dai rapporti con popolazioni di varia provenienza alla religione, ai suoi simboli e ai bronzetti.

E’ stato un lungo viaggio nelle nostre radici, che è partito dalle spiegazioni sulle tombe più semplici a fossa, risalenti a oltre 6.000 anni fa, a quelle sulle gigantesche (per allora, s’intende) costruzioni dei poderosi nuraghi (Arrubiu, Barumini, Losa, Santu Antine) o di importanti agglomerati urbani del 2000 a.C., di grandi tombe a camera dipinte, di menhir, fino ai commerci e ai rapporti con i micenei, i fenici e perfino con gli egizi. In particolare, grazie al dr Montalbano, noi “studenti” siamo andati alla scoperta di una civiltà, quella sarda, che pur divisa in tanti insediamenti anche lontanissimi tra di loro (Anghelu Ruju di Alghero, genti di Ozieri, Monte Claro, Carbonia, Barumini…) creò una società pacifica aperta e collaborativa, probabilmente priva di guerrafondai. Gente che commerciava ossidiana, rame e argento, e che, come risulta dagli incantevoli bronzetti esposti nei musei, con il palmo della mano destra aperta salutava i propri dirimpettai in segno di pace. Un popolo unito dal culto della Dea Madre, ritrovata in tutti gli insediamenti nuragici in diverse forme e realizzata con diversi materiali.

Proprio nella prima delle quattro giornate, forse per la mia superficiale conoscenza della storia della Sardegna, ho avuto la sorpresa più bella: scoprire come i miei antenati quasi 4000 anni fa costruivano edifici che sfioravano i 30 metri con le loro 3 camere a tholos sovrapposte (Nuraghe Arrubiu di Orroli) e 5000 anni fa realizzavano tombe monumentali con lastre in pietra del peso di decine di tonnellate, che porrebbero seri problemi di movimentazione ancora oggi, mentre i “grandi” popoli italici vivevano ancora in palafitte. E nonostante siano trascorsi migliaia di anni, taluni, per fortuna pochi, ancora oggi si ostinano a ragionare come allora: da primitivi che hanno paura del diverso.

Mi ha colpito in maniera particolare che questi antichi sardi avessero notevoli conoscenze di geometria e questa è stata per me la scoperta più grande. Gli insediamenti più antichi si presentano con tanti nuraghi a corridoio realizzati a coronamento delle vallate e delle giare, spesso in prossimità delle vie di comunicazione con le comunità adiacenti. Questi nuraghi sono distribuiti capillarmente nel territorio occupato dai clan familiari, e mostrano la volontà di proteggere un “area sacra”, un “centro della comunità”, individuabile nel luogo di raccolta dell’acqua, risorsa necessaria per la sopravvivenza. Questo bene prezioso scorre giù dai rilievi e si raccoglie naturalmente nel punto più basso della valle. Per questo “centro” passano tutte le linee di osservazione che uniscono visivamente i nuraghi posti a coronamento della vallata. Un sistema di insediamento ragionato “a tavolino” dai sacerdoti-sovrani che governavano le famiglie nuragiche. Ciò che colpisce è che frequentemente nel centro si trova sempre un segno religioso sotto forma di altare votivo o pozzo sacro, o tomba di giganti. Questa presenza non è frutto del caso, si tratta di una volontà sociale che sanciva un “patto con la natura” e con le divinità connesse.
Negli incontri serali a Dolianova, non sono mancati i colpi di scena che ricordano le vicende cinematografiche di Indiana Jones.

Ad esempio, ha colpito i presenti il racconto fatto da Montalbano di quando con un collaboratore e un amministratore locale, carte al 25.000 dell’I.G.M.( Istituto Geografico Militare) e G.P.S. (strumento di localizzazione geostazionario) alla mano, cercavano sulla Giara di Gesturi una conferma alla loro teoria: individuare qualche traccia del “centro sacro” dell’insediamento preistorico. Ma dalle carte e dai racconti delle persone anziane del luogo in tale sito non era presente alcun villaggio nuragico in quanto le giare sono pietraie adatte solo all’allevamento. Nel corso della verifica sul campo, lo staff di studiosi, proprio nel punto che si rilevava dalle triangolazioni e dal G.P.S. ha trovato il passaggio sbarrato da una grande porcilaia in uso, non censita, costruita al fianco di un preistorico altare immerso nella vegetazione, in una zona con forte presenza di sepolture realizzate con pietre sovrapposte a cumulo. Questo confermava che la teoria, conosciuta come “Sistema Onnis”, era valida, e lo è soprattutto a seguito di ulteriori ricerche condotte a tappeto in altri 60 siti sparsi per la Sardegna: i luoghi oggetto di verifica hanno mostrato la volontà, da parte delle comunità, di organizzare il territorio secondo precisi schemi determinati dall’acqua, da un area sacra e da un “piano edilizio”, pur se per l’epoca non si può certo parlare di urbanizzazione.

Che dire poi delle navi realizzate per la navigazione e il commercio: secondo Montalbano sono stati ritrovati oltre 150 diversi modellini in bronzo che riproducevano le navi reali che solcavano il Mare Mediterraneo e forse si spingevano oltre le attuali colonne d’Ercole, ossia lo Stretto di Gibilterra, con rapporti commerciali che interessavano perfino le genti di Cornovaglia, Bretagna e coste del nord Europa.

Particolare enigmatico da decifrare chiaramente è l’uso del rame sardo in forma di particolari lingotti, denominati ox-hide, pesanti dai 33 ai 66 kg, simili al vello di un toro. Sono trasportabili stivati nelle navi o caricati sulle spalle, come risulta in pitture funerarie e bassorilievi egizi scoperti in quella che fu l’antica città di Tebe. Come dice Montalbano, “quelli erano i nostri antichi dobloni, e servivano per pagare le merci scambiate nei traffici commerciali lungo le vie marittime che interessavano gli approdi nelle coste mediterranee”.
Il rame costituisce un argomento che attrae fortemente chi si occupa della antica storia sarda, infatti fu proprio l’abbondanza di questo metallo, e dell’argento, nella nostra Isola che consentì di attivare importanti commerci con i micenei. L’aspetto più curioso era che il bronzo si ottiene fondendo insieme 9 parte di rame e una di stagno, ma quest’ultimo è rarissimo nel Mediterraneo, e in Sardegna si trova solo in piccole quantità a Fluminimaggiore, non sufficiente per ottenere tutto il bronzo richiesto dal mercato, per cui questo prezioso metallo doveva essere importato dalle lontane isole cassiteriti, nella zona compresa fra la Spagna atlantica, la Cornovaglia e la Bretagna, i cui giacimenti furono sfruttati fino a epoca romana imperiale.

Sono tanti gli aspetti importanti dell’archeologia della Sardegna, ma non posso certo raccontarle io in una riflessione che si propone di dare un’idea di che cosa è stato “Archeologia sotto le stelle”. Voglio chiudere ricordando che anche alcune scoperte recenti, le statue dei cosiddetti giganti di Monte Prama, vicino a Cabras, hanno necessità di approfonditi studi e di altri scavi, per cui è indispensabile che siano finanziate da parte degli appositi enti (Stato, Regione e Comuni) varie campagne di scavi nei siti della Sardegna. Solo così potremmo portare alla luce resti e materiali che potrebbero aggiungere tasselli determinanti a quel grande mosaico creato dai nostri progenitori, su chi fossero veramente, da dove venissero e il motivo delle grandi mutazioni sociali ed economiche nei vari secoli.
Sono tante le domande che attendono risposte e se è vero che è beato chi non ha bisogno di inventare eroi, è ancora più vero che un popolo che non conosce le sue origini e la sua storia è un popolo che non ha futuro.

Grazie ai programmi ministeriali, un cittadino sardo e italiano ha studiato accuratamente il Ratto delle Sabine, i re di Roma, gli Orazi e i Curiazi, Giulio Cesare e Ottaviano Augusto, e quante battaglie fecero gli antichi romani per diventare i dominatori di un impero, ma gli stessi programmi ministeriali ignorano volutamente tutta la storia della Sardegna, dai nuragici fino ai Giudicati, lasciando un grande vuoto culturale che poi fa rima con sociale. Ed è un vuoto voluto e non casuale, che contribuisce a cancellare nel tempo un’identità: quella di sentirsi sardi.
Fino a quando un popolo composto da oltre un milione e mezzo di residenti, e altrettanti emigrati nel mondo, continuerà a parlare in sardo (quello dei vari luoghi dell’Isola), a mantenere vive le tradizioni ultra secolari, a usare internet e a fare i viaggi low cost nel mondo, e apostrofare l’Italia come “Continente”, significa che questa identità non potrà essere cancellata. Credo altresì che il “Grande Verde”, ossia il Mare Mediterraneo, quello che per i nostri antichi padri era visto come un sicuro mezzo di comunicazione fra popoli intraprendenti, non dovrà più essere visto come una barriera impenetrabile, come un confine che divide, ma come l’elemento di raccordo per lo scambio tra uomini diversi di molteplici Stati, di beni e di merci ma soprattutto di culture e pensieri differenti.
Come diceva il vecchio parlamentare europeo Umberto Cardia, “La Sardegna ha una posizione strategica nel Mediterraneo, deve essere un avamposto della terra europea verso il Nord Africa e il Medio Oriente.”
Né più né meno, in termini moderni, di quello che anticamente facevano le nostre genti di mare, creando relazioni internazionali con altri popoli di navigatori, influenzando la koinè commerciale e mescolandosi con un’integrazione che condivide tutto, anche il DNA.
Conoscere la storia della Sardegna, e la sua archeologia, non è un fatto trascurabile ed è quasi un grande atto Politico, dove la P di Politico è scritta con la maiuscola e ha il significato nobile di quell’arte, che significa educazione dei cittadini al governo di se stessi. Un popolo che si governa è un popolo libero. Un popolo che conosce le sue radici può anche programmare il suo futuro.

Grazie a Pierluigi Montalbano per le sue bellissime e utili lezioni di Archeologia, che hanno anche riflessi sociali e culturali, e grazie soprattutto a Doriana Onida e all’Associazione culturale del Parteolla, che ha reso possibile questa iniziativa. Grazie anche alla famiglia Locci per il coraggio che ha tutt’oggi di tenere in piedi a Dolianova il Museo dell’olio de “Sa Domu de su Notariu”, ma soprattutto di mantenere in vita, con diversi dipendenti, l’attività di produzione delle olive e di trasformazione delle stesse in ottimo olio. Altri al posto loro avrebbero venduto senza scrupolo i locali per trasformarli in un supermercato o una banca.
Grazie per il vostro aiuto e la vostra collaborazione
Pino Argiolas

 

 

Nella foto in alto l’ingresso del Museo dell’olio; nella foto in basso Pierluigi Montalbano  e Doriana Onida

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