“Antiguida”, romanzo collettivo a cura di Decimo Cirenaica
Decimo Cirenaica, Alfio Genitron, Carlo Palizzi, Emile Olivadi e Alberto Careri: questi gli autori del nuovo romanzo Antiguida. In realtà, forse basterebbe un solo nome: Simone Olla. Forse… E arduo è pure avventurarsi in interpretazioni del testo. Certo è, però, che val la pena leggerlo.
Dopo lunga attesa, è finalmente disponibile la versione definitiva dell’Antiguida, opera attribuita a Simone Olla. Con costui, infatti, di nulla v’è certezza, forse neppure della sua reale esistenza. Formalmente, gli autori dell’opera sono cinque, uno per ogni libro che la compone: Decimo Cirenaica, Alfio Genitron, Carlo Palizzi, Emile Olivadi e Alberto Careri. Posto che il primo è lo pseudonimo con cui Simone Olla firmò il romanzo Chiuso ametà, potremmo dunque ipotizzare che siano tali pure gli altri quattro nomi. Ma potremmo tranquillamente pensare che si tratti, invece, di altre quattro distinte persone. Né possiamo escludere che siano in parte vere entrambe le ipotesi, che, cioè, i cinque nomi siano altrettante distinte personalità dell’autore. Ciò che è quasi certo, poiché attestato da fonti attendibili, è che Simone Olla ha donato – non si sa se volontariamente o a sua insaputa – qualcosa di sé a diversi personaggi dell’Antiguida, primo fra tutti quello che viene chiamato il Protagonista.
“UN MOSAICO DI STORIE AUTONOME, MA COLLEGATE” – Cos’è, dunque, quest’Antiguida, vi starete forse chiedendo. Definirla è arduo; il nome stesso già richiama l’anticonvenzionalità, così come il fatto che a pubblicarla è Malicuvata, che si definisce Casa lettrice e non editrice. La scelta più saggia è, dunque, affidarsi alle parole dell’autore/degli autori: «DC [Decimo Cirenaica, ndr] sta lavorando a un grande romanzo collettivo, ma il metodo di narrazione non sarà a staffetta. “Costruiremo un mosaico di storie” mi dice. “Storie autonome, ma collegate. A ogni storia il suo stile, il suo respiro, il suo autore ignoto.”» Ecco, quest’ultima frase tenetela bene a mente perché DC è riuscito nel suo intento: queste storie sono effettivamente autonome eppure tra loro collegate e non solo hanno un autore ignoto (nel senso che, appunto, non ci è dato sapere se realmente esista) ma hanno pure un loro respiro, un loro ritmo, una loro vita. Una vita che precede e succede l’incontro con il lettore. Però, è il respiro di quest’ultimo a restare mozzato, quando l’autore/gli autori lo strappano via da una storia per gettarlo nel bel mezzo di un’altra.
CI È O CI FA? IL RITORNO – Ce n’è già abbastanza per intrigare, io credo, ma al suo fascino contribuiscono pure la copertina di Girolamo Lanzafame, l’introduzione illustrata di CHI? – Littlepoints (nella foto) e, ovviamente, la follia creatrice di Simone Olla. Rispetto a Chiuso ametà la scrittura e la tecnica risultano ancora più mature e – a voi stabilire se ciò sia un bene o un male – complesse. Personalmente prediligo i testi scritti per essere capiti, pur subendo indubbiamente il fascino di ciò che è criptico o comunque al di sopra delle mie capacità di comprendonio. In ogni caso, ho molto rispetto per chi osa, per chi, pur di sperimentare, è disposto ad assumersi il rischio di essere capito (e apprezzato) da pochi. Dubito, infatti, che Simone Olla scriva in tal modo perché mosso da una visione elitaria, escludente, della cultura e dell’arte o dal banale desiderio di essere controtendenza per partito preso. Io credo, piuttosto, che la sua scrittura sia il frutto di un percorso di ricerca e affinamento naturalmente guidato da una sua determinata concezione dell’arte e dell’esprimersi. E ne sono ancora più convinta dopo aver letto quanto, sul suo blog, scrive Paolo Zardi riguardo a Decimo Cirenaica.
La lettura di Chiuso ametà (poi diventato a loro il tentativo di chiudermi ametà) mi lasciò in eredità il quesito “Ci è o ci fa?”. All’epoca conclusi che ci era, oggi invece direi che ci fa (e molto bene) perché sostanzialmente ci è.
TRADIMENTO E POSSIBILE FRAINTENDIMENTO – Prima di addentrarmi nei contenuti del romanzo, mi è d’obbligo fare una premessa, partendo da un passaggio estrapolato dal libro stesso: «Mi tengo alla larga dalla morale, specie in un romanzo: non la cerco né quando scrivo né quando leggo. Se un romanzo è rappresentazione della realtà, traduzione, automaticamente diviene un tradimento della realtà stessa. Scrivendo di un romanzo quindi – come nel caso in oggetto – il tradimento è doppio e ne sono consapevole. (Tradurre: trans – ducere: condurre al di là; tradire: trans – dère: consegnare al di là)». Ora, io sto scrivendo di un romanzo in cui, a un certo punto, un autore affronta il tema di come scrive, legge o descrive un romanzo: il mio è dunque un tradimento all’ennesima potenza e, di conseguenza, moltiplicato all’infinito è il rischio che io conduca il senso troppo al di là dell’intenzione autentica. Prova ne sia che non vi parlerò di “separazione dal virtuale”, di “divisione dal mondo della politica e delle lettere” né di “trauma che sostituisce la trama” ,come fa il Centro studi Opifice, la cui interpretazione è sicuramente più attendibile della mia. Prendete dunque con le pinze le mie parole, fidatevi del romanzo e, se siete nei paraggi, andate alla presentazione che Simone Olla farà dell’Antiguida giovedì 26 febbraio 2015, alle 19.30, presso il Vinvoglio Wine Jazz di Cagliari.
E LIBERACI DAI PREGUIDIZI! – Mi voglio soffermare su un insegnamento che ci viene da uno degli episodi narrati, purtroppo ispirato a fatti realmente accaduti: nel valutare intelligenza, professionalità, talento e, in generale, valore di una persona non dovremmo farci condizionare da fattori – quali le sue, vere o presunte, convinzioni politiche – che non dovrebbero rilevare. Sono troppe le opportunità che perdiamo o facciamo perdere a causa dei nostri pregiudizi e, osservate da fuori, queste situazioni ci appaiono in tutta la loro misera ridicolaggine. L’arte, in particolare, dovrebbe essere valutata in sé, non filtrata attraverso la valutazione attribuita alla persona che la esprime. Non a caso, quando la conoscenza della persona segue quella dell’artista – o, meglio, dell’espressione della sua arte -, siamo più propensi a continuare ad apprezzarne il lato artistico pur avendone eventualmente avuto un’impressione negativa sotto il profilo personale, umano. Mentre mi soffermo su queste considerazioni sacrosante, però, sento che io per prima, con molta probabilità, cadrò in quest’errore con gli autori coinvolti nell’episodio qui narrato e di cui ancora non ho letto nulla.
I LIMITI DEL LUOGO – I temi che trovano spazio nell’Antiguida sono tanti, sia “intimisti” che sociali. Sull’ambiente, ad esempio, citerei questo bel passaggio: «Gerardo pensa che in principio non fu la parola, che la bioedilizia esisteva già prima che la chiamassero bioedilizia: prima era costruirsi la propria casa come insegnavano e avevano insegnato tutti i limiti di quel luogo, i confini di una regola con la natura, un abbraccio lungo concesso dall’intorno del rispettivo vivere.»
GAZA, SIRIA E LA SOLITA SOLFA – Un notevole peso – qualitativo più che quantitativo – ha poi la geopolitica: «Gaza è un problema. E diventa politico mai… ogni tanto emergenza mediatica dalla quale la politica viene assorbita.» E poi: «Gaza è un campo di sterminio […] Un tiro al bersaglio. Gaza è l’esercizio di una forza, allenamento mediatico-militare… o Mediterraneo troppo lontano. […] Siamo rimasti in pochi a navigare questo mare con il solo intento di spostarci, con la sola utilità del viaggio. Petroliere e navi merci e portaerei hanno acque internazionali sempre a disposizione ove esercitano un diritto che scrivono ogni giorno con la forza: dalla loro hanno il danaro e le armi. Noi assistiamo alla sfilata scandalizzandoci a comando – quando la notizia lo richiede. Ripetiamo sdegnati il titolo di un giornale, prima di tornare al rispettivo monitor».
O, ancora: «La radio, qualche giorno fa, ha gracchiato le intenzioni di Hollande: la Francia è pronta a punire il regime siriano. Essu! Oggi, su Le Monde, Emile legge la stessa solfa, gli stessi toni, la medesima volontà da parte della civiltà di consigliare con la forza ciò che è giusto da ciò che non lo è».
SARDEGNA, ETERNA DIVISA E INDECISA – Molto spazio – stavolta in termini di quantità e qualità – è poi dato alla Sardegna, alle sue potenzialità ma soprattutto ai suoi limiti: «Dividiamoci fra indipendentisti, siamo così bravi a dividerci, noi sardi», come bene hanno mostrato anche le ultime elezioni regionali. Il discorso, però, prosegue: «Ma discutiamo di oggi e di domani. (E anche di ieri, perché no?) Discutiamo di tutto questo avvenire da una prospettiva nuova: quella sarda. Siamo nel mezzo del Mediterraneo e guardiamo l’Europa, l’Africa, il Medio-Oriente. Siamo nel più bel mar Mediterraneo, centrali come un cuore e puntellati sulle coste in armi e industria – che questa sia turistica o petrolchimica non cambia la sostanza. Diamo per scontato che sarà così anche domani e dopodomani, non osiamo una prospettiva e assistiamo lobotomizzati all’accadere politico nelle nostre terre. La lingua sarda, a scuola, l’hanno sostituita con l’inglese… A sette anni mi impedivano di parlare sardo e facevo due ore di inglese alla settimana, nel pomeriggio – un servizio extrascolastico. Risultato: non parlo inglese e studio il sardo. Mia nonna, se a scuola parlava il sardo, veniva punita a bastonate sulle mani. Che brutalità! Ed è italiana, ed è anche sarda!»
In altre sedi ho espresso il mio scetticismo sulle istanze autonomiste e indipendentiste (a mio parere utopistiche, affascinanti ma utopistiche) e qui posso aggiungere che non sono una fanatica della lingua sarda, ma trovo piuttosto condivisibili queste e altre riflessioni racchiuse nell’Antiguida.
INDIVIDUO, COLLETTIVITÀ, MASSA – Altro tema cardine, perlomeno nella mia personale interpretazione, è il binomio individualità-collettività. Ovviamente non mi azzarderò a identificare il punto di vista dell’autore e mi limiterò a citare alcuni passaggi utili al lettore per scegliere il proprio, di punto di vista (che potrebbe proprio essere uno degli intenti con cui queste parole sono state scritte): «La collettività non è un’addizione di individui, mi dice Robert, allo stesso modo del bosco, che non è un’addizione di alberi. Pensa all’acqua: esistono due elementi, l’idrogeno e l’ossigeno, che presi singolarmente non hanno le stesse proprietà di quando, combinati in quel determinato modo, si fanno acqua.»; «[…] il destino di una collettività viene prima, sempre, di qualunque malessere personale, viene prima di tutte quelle pose individuali che ci allontanano da una concezione più ampia, che ci supera e ci comprende al contempo, quella comunitaria, societaria». Parole che mi paiono congiungersi idealmente alle riflessioni che Irène Némirovsky attribuisce in “Suite francese” a Lucile Angellier. Lucile che, forse, avrebbe potuto anche lei affermare: «Non mi fa paura morire, mi fa paura vivere come non voglio».
Se è vero che la collettività tende ad annientare il singolo individuo, è altrettanto vero, però, che questi tende alla socialità: «“Sempre e dappertutto la reciprocità accade naturalmente. È una predisposizione umana di natura, la relazione.”» ; «Esiste nella reciprocità una meta di senso da raggiungere? La relazione sociale è un fine di per sé […]».
Riguardo alla “massa” le parole non sono certo tenere … ma, francamente, non credo sia possibile contestarle:
«“Subiamo internet non solo per la sua natura di medium, ma anche per il nostro essere uomini-massa.”
“La massa è comandata, guidata, necessita di una dipendenza per farsi massa”
“La massa sono le folle della modernità, ma anche gli individui della postmodernità, e in mezzo una serie di medium, a guidare le rispettive masse.”
“La massa è una vacanza del pensiero.”
“Adesione, fede, per sua natura non-naturale, indotta.”
“La massa è gerarchia subita da per sempre.”
“L’uomo-massa di questi tempi vive nell’eterna rappresentazione del reale dove il luogo è ridotto a spazio privato, e la socialità una prassi indotta, meccanica”».
DUREZZA E MALINCONIA – Alla tendenziale durezza del pensiero – qui e altrove – fa, tuttavia, da contrappeso una parola che sovente sa farsi lieve e malinconica. Così, ad esempio, quando Emile – ma non solo lui – pensa alla Sardegna, sua terra natia: «Non più onde, quindi, a suonare i tramonti del mio mare, non più i raddoppi della lingua madre né il calore dell’impasto per il pane della domenica». O quando in ballo entra l’amore, mai affrontato con banalità, stucchevolezza, squallore o morbosità: «Il primo pensiero appena sveglio, da troppo tempo, sei tu» ; «E ogni giorno speravo per te la più forte salute, Alma» ; «Moi, je suis chez moi, e voi sarete sempre la benvenuta». E benvenuto – non escluso, seppur confuso – si sente pure il lettore in questo «mosaico di storie».
La foto di Decimo Cirenaica è tratta dal sito di Opifice, mentre dal blog di Decimo Cirenaica è tratta la foto del quadro “Disamistade” (tecnica mista, 2014) di Alberto Careri.