Animali da ricerca, l’Italia discute

A entrare nel sito della Harlan, la multinazionale americana che – come si legge – fornisce «prodotti e servizi» finalizzati «alla cura umana e all’uso di animali da ricerca» qualcuno scoprirà forse per la prima volta che cosa è in concreto una parte della ricerca medica di base. Cliccando su «prezzi e promozioni» si vede un topino bianco che esce da una tazza, cliccando su «prodotti e servizi» se ne trova uno bruno. La sperimentazione «in vivo», cioè su animali, è prevista e regolata dalla legge italiana e una direttiva europea del 2010 intende uniformare la situazione in tutta Europa. Niente di irregolare, dunque, se non fosse che la notizia dell’arrivo alla sede italiana della Harlan – a Corrazzana, neoprovincia di Monza e Brianza – di un maxicarico di 900 macachi destinati alla sperimentazione ha convinto non solo quasi tutte le associazioni animaliste, ma anche molti cittadini e alcuni esponenti politici che sia ora di rimettere in discussione la ricerca su animali vivi in Italia, promuovendo sistemi «alternativi».

La vicenda è scoppiata a fine febbraio quando una prima «tranche» di macachi è effettivamente arrivata dalla Cina a Fiumicino e da lì in Brianza (sarebbero 104). Sono cominciati i presidi davanti alla sede della Harlan da parte delle associazioni di difesa degli animali e le prese di posizione dei politici. Fabio Granata (Fli) e Maria Vittoria Brambilla (Pdl) hanno presentato interrogazioni parlamentari al ministro della salute Balduzzi, che ha mandato Nas e Carabinieri a ispezionare lo stabilimento, risultato poi conforme alle disposizioni normative.

Ma la Brambilla, da ex ministro del Turismo è diventata anche la prima interlocutrice del presidente della Harlan David Broker, volato a Corrazzana da Indianapolis dopo pochi giorni dallo scoppio del caso. L’ex ministra lo ha incontrato e gli ha chiesto di «poter ritirare le 104 scimmie già arrivate per salvare loro la vita». Per le altre centinaia che avrebbero dovuto completare il carico «questa garanzia mi è già stata data». Ha chiesto anche di far entrare telecamere e giornalisti per documentare come vengono trattati gli animali, ma su questo l’azienda si sarebbe presa due settimane di tempo per rispondere.

Non tutti però si fidano delle rassicurazioni ufficiali: ieri per tutto il giorno associazioni e cittadini hanno presidiato pacificamente la sede della Harlan. Nella vicenda ha anche un ruolo il governatore Roberto Formigoni, cui cinque sigle pro-animali (Enpa, Lav, Leidaa, Lndc, Oipa) chiedono di dare «rapida attuazione alla proposta di legge da lui presentata e che prevede il divieto di allevamento di cani, gatti e primati destinati alla vivisezione sul territorio lombardo».

Oltre ai macachi della Brianza, infatti, da tempo è sotto i riflettori un allevamento di beagle – sempre a fini di sperimentazione – in provincia di Brescia.

E il mondo scientifico e delle associazioni dei malati? L’oncologo Umberto Veronesi ha dichiarato che «non c’è ragione al mondo per cui si debbano sacrificare dei primati, che sono nostri fratelli e sorelle».

Mentre Maria Antonietta Coscioni, deputata radicale e presidente dell’Associazione Luca Coscioni invita a non fare «confusione, equiparando sperimentazione scientifica a vivisezione». In serata si schiera anche il senatore Carlo Giovanardi: «Sarebbe interessante avere anche l’opinione delle associazioni dei malati e di chi ha un familiare che può avere speranza di guarigione solo attraverso i progressi della ricerca».

La Stampa

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