L’angolo di Full: “Requiem”

 Requiem

    Sto aspettando un mezzo pubblico in una strada della campagna scozzese. Sono molto in anticipo e decido di fare due passi in un bosco ai margini della strada. Mi ci vuole qualche minuto per accorgermi che si tratta di un cimitero. Senza recinzione di sorta, è di una semplicità e naturalezza assolute… come la morte.

    Le pietre tombali, semplici e molto distanziate fra loro, sono scolpite sommariamente e riportano soltanto i nomi dei defunti con le date dei loro fugaci passaggi in questo mondo. Per quanto disadorne e apparentemente dimenticate, queste pietre riferiscono una cura devota e furtiva che le mantiene in ordine e libere dalle erbe infestanti.
Ē un posto placido dall’atmosfera magica dove, almeno nella morte, sono pari i diritti e cristiano lo stile.

Viene spontaneo il confronto con i nostri cimiteri monumentali e tariffati per comparti, con tombe variamente ricche e variamente povere. La sfarzosità delle sepolture esaudisce la vanità dei vivi piuttosto che l’onore dei morti, e i nostri cimiteri evidenziano bene questo concetto.
Sulle nostre lapidi, oltre che scolpiti, i nomi vengono pompati: Cavaliere, Generale, Monsignore, Grand’ufficiale, Commendatore … dalle pompe ornamentali a quelle munifiche: Benefattore, Mecenate, Patronessa (cioè quella signora che fa del bene ai poveri che produce suo marito).
Comunque, se le chiamano Pompe Funebri, che si pompi!
Il bello è che tutti vengono già forniti delle chiavi del cielo senza aspettare san Pietro: “volata fra gli angeli”, mentre il massimo della poesia potrebbe essere: “zoccola, ma l’ho amata”.
Per la verità, capita ancora di leggere “tessitore, orafo, maniscalco, vasaio” ma sono antiche lapidi di quando i bravi mestieranti rappresentavano una elite. Oggi, chi mai scriverebbe “barista, posteggiatore, gruista”?
Da noi, tutti si precipitano al camposanto nei giorni “dei morti” intasando strade e parcheggi e facendo la fortuna dei fioristi che, per una settimana, si improvvisano gioiellieri. In questo cimitero scozzese, vedo un uomo che legge il giornale seduto sotto un albero con un cane accanto, e ci sono due studentesse, semisdraiate sull’erba, coi quaderni posati s’una larga pietra, forse la tomba d’un amico o congiunto. Appeso a un tronco d’abete c’è un bersaglio per freccette.
Di fatto, questo camposanto è un park frequentato alla pari dai vivi e dai defunti, consapevoli che la morte fa parte della vita.

    Nell’area mediterranea, la vita e la morte vengono solitamente contrapposte. In molte zone è normale assistere a funerali con persone platealmente straziate e, in certe plaghe, c’è ancora chi assolda delle figuranti per piangere e strapparsi le vesti –con calcolato danno–.
Chi di noi non s’è mai prefigurato il proprio funerale?
C’è chi vorrebbe un ultimo punto esclamativo alla propria vita come un maestoso suono d’organo in chiesa o un corteo con la banda parachebonzi in testa. Per i cuori romantici, una pariglia di cavalli bianchi davanti a un carro coperto di rose. Né può mancare il funerale rigorosamente deserto del poeta che si commisera.
Chi mai, desidererebbe una commemorazione grottesca? Nessuno. Nemmeno quelle figuranti straziate che la infliggono agli altri!

     Mentre lascio a malincuore questo luogo incantato dall’atmosfera magica, le due studentesse mi salutano ed io stendo per loro un sorriso XXL. Poi strizzo l’occhio ad un certo Patrick W… 1921-1993, che sembra venirmi incontro con la sua lapide fatta d’un semplice masso coperto di muschio.
Il bus mi porta in una quieta cittadina scozzese con strade bene ordinate come parole crociate orizzontali e verticali dove la “c” e la “i” della chiesa incrociano rigorose la “c” e la “i” del municipio.
Vi rimango un paio di mesi per motivi professionali. Una volta soltanto vado a passeggiare nel locale cimitero perché qui la bella stagione dura un baleno poi il vento dell’oceano soffia quasi ininterrottamente.
I passanti, frettolosi e isolati dentro giacconi gonfi di burrasca, sembrano fardelli rotolati dal vento e i rari locali pubblici sono un requiem di bevitori a decantare in antiche botti di rovere.
Nei momenti liberi leggo, quasi sempre autori italiani.

  Oggi, sarà lo sconvolgente abbandono di questa scogliera, o il vento che non lascia scampo asciugando anche gli occhi che s’inumidiscono… oggi, che un cielo nero mi schiaccia, mi fermo su questa frase di un autore napoletano che, da sola, racchiude una forza tale da indurmi una cocente nostalgia del tiepido cielo mediterraneo e mi fa riabilitare senza riserve i nostri solari luoghi di sepoltura. La frase è riferita a una cittadina europea, fredda e ordinata come questa in cui mi trovo. Dice: “… è grande il doppio del cimitero di Napoli, ma ci si diverte solo la metà.

Fulvio Musso

 

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La citazione finale è di Luciano De Crescenzo.

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