L’angolo di Full: “La sniffata”
Ero in viaggio, dall’alta Lombardia al basso Piemonte, lungo un intreccio di strade provinciali che graffiavano di nero il verde tenero di una primavera precoce.
Ero solo, a parte i miei soliti fantasmi che cercavo di massacrare di musica con l’autoradio.
Il tema del programma radiofonico era rivolto agli sniffatori di sostanze proibite: “Raccontateci la vostra prima sniffata: come e perché.”
Mentre ascoltavo l’intermezzo musicale mi chiedevo chi mai potesse accettare un invito così compromettente per la propria privacy. Saranno telefonate fasulle, mi dicevo.
In breve risposero in due o tre riferendo storielle banali tipo febbre del sabato sera con sniffata collettiva, ed io rimanevo sintonizzato solo per la validità dei brani musicali interposti.
Stavo scavalcando una collinetta del basso varesotto quando capitò questa telefonata:
“Tutto cominciò con la mia separazione coniugale. Chi c’è passato lo sa: per un uomo, di solito, la separazione vuol dire lasciare casa, famiglia e abitudini pigiando il tutto in due o tre valigie più un borsone preparato dalla moglie con gli oggetti superflui di cui vuole disfarsi e che, secondo lei, potrebbero tornarti utili, come il doppione del macina-pepe, la tovaglia con macchie indelebili, le fotografie riuscite male …”
“Immancabile, la statuetta africana comprata in spiaggia! Raccontaci tutto!” , incalzava il conduttore che, al termine di quella telefonata, sarebbe rimasto senza uno straccio di battuta.
“Esatto. Con le tre valige e il borsone si finisce di solito in un monolocale. I più sfigati, in una camera ammobiliata.
A me capitò il monolocale che arredai poco a poco sfruttando anche qualche pezzo che recuperavo dalla vecchia casa che la mia ex stava rinnovando dato che la separazione aveva coinciso, per lei, con qualche misterioso e prospero influsso astrale.”
L’uomo cercava di esprimersi con un gergo semplice, ma s’avvertiva comunque il buon livello culturale che stimolava l’ascolto.
“A volte dovevo rifiutare quelle offerte a causa del mio buco di casa dagli spazi minimi, ma non seppi dire no alla vecchia credenza che avrebbe impreziosito il mio arredo un po’ troppo risparmioso.”
“Si dice infatti che le antiche credenze non ci abbandonano mai!” , interveniva ancora il simpatico per contratto alludendo a quelle ancestrali della mente, “ma raccontaci della tua prima sniffata. Siamo tutt’orecchi!’’
“Ci sto arrivando. Per trasportare la credenza dovetti noleggiare un furgone e mi toccò perfino modificare una mensola per infilarla in quel monolocale che mi andava stretto anche di spalle e di bacino…”
La regia radiofonica sottolineava le battute spiritose con brevi risatine registrate.
“… quando, alla fine, aprii le antine per riporvi le mie cose, venni investito da un profumo molto particolare che avevo dimenticato. Era la mia marca di sigarette di quando fumavo. Era l’odore che mi lasciavano i bambini quando, la sera, mi si appiccicavano addosso. Erano i fiori secchi di lavanda che mia moglie metteva negli stipi. Erano le salse che usavamo con i bolliti. Erano, tutti insieme, un solo profumo, era il profumo della nostra casa.
Ebbene, è passato quasi un anno e ancora, ogni tanto, mi inginocchio davanti alla credenza, apro le antine e mi faccio qualche sniffata di quella sostanza proibitami e ormai, molto tagliata, devo dire…”
Seguì un breve, insolito silenzio.
Spensi la radio e riaccesi la testa.
Ero in viaggio dall’alta Lombardia al basso Piemonte lungo un intreccio di strade provinciali che graffiavano di nero il verde tenero di una primavera precoce. Nel bagagliaio avevo tre valige e un borsone.
Fulvio Musso
Forse il primo racconto che lessi, di questo autore…ricordo che mi piacque a tal punto che lo feci leggere a mia moglie che, tra le altre cose, legge poco anche i miei. Piacque anche a lei, ovviamente…bellissima la chiusa, ad effetto.