L’angolo di Full: “La macchia”

una camicetta bianca macchiata di caffé sul collo

Il maestro Full ha sottotitolato il mistery che vi proponiamo oggi così: “Per la serie: non ci sono più le belle storie di una volta”. Noi aggiungiamo un “…almeno di non incappare in una storia di Fulvio Musso” con la certezza che concorderete!

una camicetta bianca macchiata di caffé sul colloLa macchia

Era il suo primo giorno di lavoro in quell’azienda e s’era presentata con una vistosa macchia di caffè sulla camicetta, appena sotto il colletto.
Il giorno dopo, la ragazza tornò con la stessa camicetta e la stessa macchia e qualche collega cominciò a guardarla con curiosità.
Il terzo giorno la curiosità divenne generale quando la nuova impiegata comparve con una candida polo sportiva  che mostrava una  macchia di caffè nello stesso posto, sotto il girocollo.
«Ma…», azzardò la vicina di scrivania,  «ti sei macchiata di nuovo!»
«Capita» troncò la ragazza.
Nei giorni successivi la donna cambiò ripetutamente d’abito, ma la macchia restava, identica per posizione e forma.
«Ē una macchia molto ben disegnata… una moda davvero originale che potrebbe avere successo» le sorrise diplomaticamente la sua capoufficio cercando di venire a capo di quel singolare fatto.
«Magari» fu la risposta laconica e conclusiva della ragazza.

     Ormai, i commenti dei colleghi s’allargavano in ogni direzione. Qualcuno parlò di strane malattie con putride piaghe trasudanti. Un’anziana impiegata, bigotta ed estremamente vedova, paventò eventi trascendentali mostrando un’immagine della Beata Mafalda, vergine e martire, con una ferita sanguinante proprio in quel punto del costato: «A distanza di secoli, il sangue assume esattamente il colore del caffè» diceva l’impiegata, e sottolineava il fatto che la ragazza si chiamasse, per l’appunto, Mafalda.

      Il fascino del paranormale è sempre notevole così, durante l’intervallo per il pranzo, alcuni impiegati attorniarono un contabile che riferiva la vecchia e nota storiella di un giovane che aveva ritrovato, in un bar, il fantasma della ragazza che s’era uccisa d’amore per lui. Nell’agitazione, il giovane avrebbe versato il proprio caffè addosso alla ragazza (o al suo fantasma) la quale s’era poi dileguata nel trambusto. Sospettando che la donna fosse viva e che i becchini avessero sepolto un cadavere diverso, i familiari della donna avevano fatto riesumare la salma la quale risultò ben composta nella bara, ma con una vistosa macchia di caffè sul vestito.
«Tutti noi abbiamo sentito parlare dei cadaveri viventi. Dunque, qualche fondamento ci deve pur essere!» insinuò un ragioniere calvo e smunto.
«Un fondamento c’è di sicuro; basta guardarti». Il capo magazziniere era fra i pochi a prendere l’evento con ironia.

      In breve, la direzione venne a conoscenza dei fatti ed il capo del personale che, fra l’altro, era molto superstizioso, volle evitare ogni turbativa sospendendo il trimestre di prova della ragazza alla quale fu saldato l’intero periodo purché lasciasse l’impiego senza eccepire.

Tre mesi di stipendio per soli dieci giorni di lavoro” pensò la ragazza mentre lasciava l’azienda: “l’espediente della macchia di caffè funziona egregiamente”.
La sua considerazione si chiuse in un sospiro amaro. Magari fosse un espediente!  Da quarant’anni, invece, continuava la sua maledizione.

Confusa fra le pie donne, la ragazza s’infilò furtiva nel camposanto.

   L’anziana e pallida signora cui avevo chiesto chiarimenti su questa storia, prese una pasticca da una bomboniera d’argento come per assicurare più autonomia alla sua debole voce:
«Le dirò, signore, quello che so di questa faccenda. Effettivamente, quarant’anni fa, s’era verificato un evento strano e forse unico: una donna s’era suicidata due volte.»
Il suo flebile alito di voce sembrò attingere qualche forza dalla mia espressione incredula.
«A causa di un drammatico malinteso, una ragazza s’era uccisa nel momento più sublime del suo amore e una volta attraversato il fatidico tunnel, non trovò emozioni altrettanto eccelse da consolarla della sua immensa perdita. E chissà come, trovò modo di togliersi anche quella seconda vita sperando di tornare così al sentimento perduto. Qualcuno o qualcosa le svelò il mistero che restituisce linfa e vitalità al corpo e, in qualche modo, la donna riuscì a tornare tra i vivi.»  La signora concluse con  la voce ridotta a un soffio: «Ma recuperò un corpo senz’anima perché l’anima non può tornare. L’anima, il suo mistero non lo svela.»

primo piano di Fulvio Musso       Non rividi più quella signora pallida e senza voce che incontrai quell’unica volta in un luogo che non oso riferire. Rarefatti segnali m’indussero il sospetto che fosse lei stessa la protagonista dell’inquietante storia. In effetti, non vidi alcuna macchia di caffè sul suo petto, ma ciò dipese unicamente dalla circostanza, o dall’espediente, che la signora indossava  una camicetta color caffè.

Fulvio Musso

1 thought on “L’angolo di Full: “La macchia”

  1. Complimenti per l’ottimo racconto espresso. Com’é d’uso ad uno scrittore capace,e sicuramente lei lo è, lo scritto cattura l’interesse dalle prime righe e spinge la lettura, colma di curiosità quasi infantile, a terminare la stessa lasciando i sensi contenti del finale inatteso ma desiderato.
    Davvero tanti complimenti Signor Musso.
    Cordialmente
    Gigi – poco più di niente -.

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