L’angolo di Full: “L’orologino”

 

 

Sagace, misuratamente irriverente e dolce-amaro come solo la malinconia sa essere: così conosciamo Fulvio Musso e per questo in tantissimi lo apprezziamo, anche fuori dai confini nazionali.


Cambiano i luoghi, i personaggi e le vicende, ma la firma è indiscutibile. E il delizioso racconto che vi proponiamo oggi non fa eccezione: sa proprio di Full.

 

 

L’orologino

S’era per strada fra Carignano e Carmagnola, un viottolo attraverso i campi che conduceva a un vecchio traghetto sul Po, un barcone a trazione manuale con le funi tese fra le due sponde.
Lei camminava spedita ed io le trotterellavo dietro. A tratti allungava un braccio: «Guarda!» e m’indicava il raggio radente del mattino che giocava fra i filari delle vigne, o le colline del Monferrato azzurrine per la lontananza. Azzurrine come i miei anni.
Oppure staccava al volo una foglia di robinia: «Si può suonare, ti faccio vedere», l’avvicinava alle labbra, tesa fra i pollici e traeva qualche nota, poi la cedeva al mio inutile soffiare. Era un’assistente dell’istituto che mi ospitava e mi stava accompagnando a Carmagnola per un qualche documento, o forse per una visita medica.
Non saprei dire se era più o meno giovane, più o meno bella: era come la filtrava l’azzurrino dei miei sei anni.
Ogni poco le chiedevo l’ora e lei, paziente: «Sono le otto e un quarto»… «le otto e mezza», e io rimettevo il mio orologino di legno, stretto al polso con l’elastico.

Ad un tratto si fermò di botto: «Aspetta», fece due passi nel prato, «non ce la faccio più… la pipì… voltati verso le colline… voltati! Non guardare, capito? Non guardare!».
Mi voltai ubbidiente e… mi precipitò addosso un intero universo sconosciuto. Una curiosità morbosa che m’imponeva di disubbidire, di voltarmi a guardare. Un angolo buio e ignoto del mio essere che mi procurava una sensazione nuova, forte e sconcertante.
Stavo per cedere quando la sentii trafficare con gli abiti: «Bravo, sei proprio un bravo bambino!»

Bravo lo ero stato davvero, bambino anche troppo. Per anni mi restò il rimpianto per non aver disubbidito, o forse durò solo qualche mese. Del resto, quell’orologino finto segnava solo il tempo dei miei sei anni. E continua a indicare l’ora di quel giorno, a ricordarmi di quel bravo, leale ometto. Peraltro, la foglia di robinia, avrei imparato a suonarla lo stesso.

Fulvio Musso

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