L’angolo di Full: “Controvento”

Controvento

Il cigno si alza in volo controvento. Come gli aerei leggeri. Come la barca che accosta nel maltempo. Il pilota e il marinaio l’hanno imparato. Il cigno lo sa.

C’è un isolotto nella parte meridionale del Verbano che pochi conoscono oltre la gente del luogo. Qui cessano i canneti per dare spazio agli alti fusti cui s’aggrappano le roselline d’acqua. E qui cessano anche altre cose, come il trambusto del mondo. Perché ci sono soltanto alberi annosi e taciti che, nelle notti di luna, diventano dei re dalle corone d’argento. E hanno una guardia, schierata tutt’intorno, formata dalle secche che tengono lontano i motonauti fracassoni e cedono solo alla perizia di qualche marinaio.

In questo piccolo regno ha nidificato una coppia di cigni. Uccelli che amiamo per la loro eleganza e perché raffigurano quella fedeltà di coppia che molte anime vagheggiano. Qui davo fondo all’ancora per scrivere o leggere o nuotare. Né mancavo di rendere omaggio ai padroni di casa con del pane che lasciavo beccare direttamente nella mia mano, godendo della loro foga selvatica che si mutava, via via, in docilità amica.

L’estate languiva ormai e, nella loro stoltezza spensierata, alcuni ragazzi sopra un canotto cercavano di scacciare i due cigni dal loro regno. La femmina guadagnò il nido mentre il maschio s’alzò in volo nell’unica direzione possibile, cioè controvento verso la vicina riva dove, accanto a un giovane salice, si ergeva un fusto senza corona, ma con un unico ramo a forma di fucile. Volava il cigno a pelo d’acqua, controvento e a mezzo volo lo colpirono i pallettoni. Quando cadde, il cacciatore non tentò nemmeno di recuperare la preda, ma si mise l’arma in spalla e scomparve nel canneto come un soldato che, ucciso un nemico, lì lo abbandona.

Ero alla fonda poco più al largo e la scena mi lasciò attonito e avvilito col profondo senso di colpa che, a volte, si prova per il male che altri commettono.

Una creatura stupenda e inerme era stata uccisa per stupidità o per mera cattiveria.

Filai la cima dell’ancora avvicinandomi quanto più possibile. L’uccello giaceva con le grandi ali spiegate e anche nella morte conservava la sua solitaria regalità. Non cercai di recuperare il corpo, lo lasciai alla maestosità del suo ambiente, solo anche nella morte e con la struggente parvenza di vita che gli dava l’onda.

Era caduto senza un gemito: il cigno non canta prima di morire.

Fulvio Musso

 

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