AMMINISTRATORI PUBBLICI INFEDELI…

Un fenomeno a dir poco disdicevole favorito da scarsità di controlli e da connivenze alimentate dalla sete di denaro, ma anche da improprie designazioni dei ruoli operativi.

di Ernesto Bodini (giornalista e opinionista)

Da come vanno le cose, soprattutto in Italia, nell’ambito della Pubblica Amministrazione (P.A) si rileva, come ci informano i mass media, che sono sempre più in aumento i casi di dipendenti pubblici infedeli. Sinora credo non sia mai stata fatta un’indagine statistica e sulle cause riguardo a questo malcostume, ma sarebbe bene cominciare a pensarci, non solo per quantificarne l’entità di ieri e di oggi, ma anche per attuare una strategia di prevenzione. Quali, dunque, le ragioni per le quali dopo anni di servizio in questo o quell’ambito della P.A. taluni dipendenti (graduati o meno) tendono alla infedeltà, commettedo questo o quel reato? A mio avviso le ragioni possono essere diverse, come ad esempio rivalità verso colleghi (anche di gerarchia), una promozione negata, un demansionamento, per venalità e concussione quindi peculato; ma a volte taluni commettono illeciti per “favorire” qualche politico che sino a quel momento non ha avuto molta fortuna…, reciproci ricatti e/o minacce, per non parlare del fatto (forse più ricorrente) della collocazione ad una mansione non del tutto appropriata. Questo fenomeno è probabilmente sempre esistito per una carenza all’origine di onestà del soggetto dipendente della P.A. che, purtroppo, tale riprovevole caratteristica non è individuabile all’atto della partecipazione del concorso pubblico finalizzato alla assunzione. Ma a questo riguardo ciò che non viene mai attuato è la verifica delle attitudini per una determinata mansione da parte del soggetto dopo aver vinto il concorso, e tanto meno viene fatto un test psico-attitudinale periodico, ossia durante il rapporto con la P.A. per verificare se nel soggetto sussistono i requisiti per continuare a svolgere la mansione affidatagli. E talvolta non vi è certezza della pena, tant’è che Seneca sosteneva: «Chi risparmia i malvagi danneggia i buoni». Con questa esposizione, che nel dettaglio non ho mai letto da alcuno, non intendo lanciare dardi contro questi dipendenti infedeli, ma più semplicemente rilevare il fenomeno che non solo getta vergogna al Paese, ma anche per i danni che ne derivano a carico dei loro colleghi onesti, delle Istituzioni stesse e della collettività.

È mia convinzione che, per quanto ci informino i mass media del comportamento di queste figure, la collettività non se ne preoccupa mentre sarebbe bene esprimere il proprio disappunto con qualche segnalazione (scritta) a chi di dovere. Inoltre questo malcostume è anche una questione di “povertà” culturale, ossia il fatto di non sapere ma soprattutto di non voler sapere dove sta il male e dove sta il bene e, come spesso si dice, l’esempio viene dall’alto dove la corsa al potere, il facile guadagno e quindi la notorietà danno l’idea di toccare il cielo con un dito e di essere padroni di un sistema. In buona sostanza l’uomo non si smentisce mai (a parte le molte eccezioni) di fronte a tutto ciò che luccica: la vil pecunia e quindi il conseguente senso di onnipotenza. E, a questo proposito, ad ognuno di questi “signori” immorali, direi: «Dio c’é ma non sei tu. Rilassati».

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