A TORINO SI È PARLATO DI IPERTENSIONE E CALCOLOSI URINARIA

Una duplice conferenza per due patologie che si possono prevenire e curare

di Ernesto Bodini (giornalista scientfico)

Tullio Usmiani

Non si conoscono mai abbastanza le funzioni del nostro organismo, specie se riguardano il sistema cardiocircolatorio sia dal punto di vista della pressione arteriosa che della terapia quando è alterata. A questo riguardo con un particolare approrofondimento è intervenuto il dott. Tullio Usmiani attualmente all’Unità di Cardiologia dell’ospedale Molinette della Città della Salute e della Scienza di Torino, sul quesito Dottore ho la pressione alta: che pastiglia devo prendere? Un tema assai ricorrente perché si parla spesso di ipertensione arteriosa (d’ora in I.A.) quando la misurazione evidenzia la cosiddetta massima (sistolica) oltre i 140 mmHg, (leggasi millimetri di mercurio) o la cosiddetta minima (diastolica) è superiore a 90 mmHg. «Una pressione è definità ottimale – ha spiegato il clinico – quando è pari o inferiore a 120/80 mmHg, ed è comunque normale quando la massima è tra 120 e 129 e la minima tra 80 e 84 mmHg, ma quando raggiunge i valori di 140/90 mmHg si parla di ipertensione e se i valori raggiungono 159/99 mmHg si parla di gravità di 1° grado, di 2° grado se i valori risultano essere tra i 160 e 179 la massima e tra 100 e 109 la minima; di terzo grado, invece, se i valori risultano essere 180/110”; mentre l’ipertensione sistolica isolata è relativa in soggetti anziani con la massima alta e la minima normale». L’I.A. non è una malattia ma un sintomo quale fattore di rischio che favorisce l’instaurarsi di altre malattie: cardiache e cerebrovascolari che necessitano determinate terapie. Tale condizione fisiologica è molto diffusa ed è ai primi posti per il consumo di farmaci: in Europa gli ipertesi sono circa 150 milioni, che aumentano progressivamente con l’avanzare dell’età, tant’è che il 60% delle persone over 60 anni soffrono di I.A. «Oltre ai classici fattori di rischio che creano l’I.A. – ha ricordato il relatore – si deve considerare anche la famigliarità, e l’invecchiamento che crea la rigidità delle arterie e la calcificazione delle stesse; ma anche il sovrappeso e l’obesità sottoponerndo il cuore ad ulteriori sforzi; come pure il diabete che oltre a creare danni ai reni favorisce  l’I.A., e quindi anche il fumo, l’ccessivo consumo di sale e alcolici, stress e sedentarietà. È quindi opportuno adottare un’alimentazione moderata e fare regolare attività fisica. Periodicamente è bene misurare la P.A. soprattutto se si è pazienti a rischio, proprio per evitare lesioni ai reni (insufficienza renale), al muscolo cardiaco (infarto) e al cervello (ictus invalidante). Si tenga presente che che l’I.A. non dà segno di sé, se non episodici sintomi quali cefalea, ronzii alle orecchie (acufeni), epistassi (emorragia dal naso), disturbi della vista, etc.». È evidente che una volta accertata l’I.A. è necessario sottoporsi a terapia medica e controllare altri fattori che possono favorire ulteriori rischi vascolari da valutare sottoponendosi ad esami ematici mirati, compreso l’elettrocardiogramma (ECG). Ma quando assumere una terapia per il trattamento dell’I.A.? «Non tutti i pazienti che soffrono di I.A. – ha sottolineato il clinico – hanno lo stesso rischio cardiovascolare, pertanto il trattamento e il relativo perseguimento degli obiettivi andrebbero personalizzati sulle caratterstiche individuali e in base al grado di ipertensione riscontrata. La terapia, per quanto riguarda l’I.A. di 2° 3° grado, richiede anzitutto modificare  il proprio stile di vita. Se di 1° grado il trattamento è da attuarsi in pazienti con rischio cardiovascolare  elevato; in merito alla somministrazione di farmaci esistono diverse “strategie” e diversi classi di farmaci, la cui scelta è determinata dalle caratteristiche cliniche del paziente e dal grado di ipertensione. Il trattamento è associato alla cardiopatia ischemica, alla malattia renale e nel paziente con scompenso cardiaco». Per quanto riguarda la prescrizione di determinati farmaci (calcioantagonisti, diuretici, betabloccanti, etc.) la prima indicazione viene data dal proprio medico di famiglia e, se lo riterrà opportuno, invierà il proprio paziente allo specialista. «Per poter diagnosticare l’ipertensione – ha precisato il dott. Usmiani – bisogna che i valori siano riscontrati in un’unica misurazione ambulatoriale quando l’ipertensione è di grado severo, ossia quando i valori sono 180/110 mmHg e oltre. A livello domiciliare è opportuno controllare la pressione su entrambe le braccia, al mattino e alla sera per almeno 5 giorni consecutivi, dopo 5 minuti di riposo. Utilizzare il valore più alto come riferimento e registrare la frequenza cardiaca (F.C.) per escludere la presenza di aritmie, ossia le note alterazioni del battito cardiaco».

Mauro Mari

L’argomento La calcolosi urinaria: prevenzione, diagnosi e trattamento è stato trattato dal dott. Mauro Mari, responsabile di Urologia al Maria Pia Hospital (Gruppo GVM) di Torino. È comunemente nota come calcoli renali, una patologia contraddistinta dalla presenza di piccole aggregazioni di sali minerali (variabilmente composti da acido urico, ossalati, cistina, colesterolo, calcio o fosfati), dalla consistenza dura, che si formano nel tratto urinario, prevalentemente nei reni, organi fondamentali del corpo umano. «Può essere causa di problemi importanti – ha spiegato il relatore –, sia dal punto di vista funzionale degli organi che per il dolore (da colica renale, appunto) che ne può derivare, paragonabile a quello del parto. Produce dolore al fianco e si irradia anteriormente sino ai genitali esterni; in alcuni casi può verificarsi sanguinamento in quanto i calcoli danneggiano la mucosa delle vie urinarie, oppure i sintomi sono dovuti ad infezioni correlate. Non è rara e, se mal curata, può evolvere nell’insufficienza renale.Può manifestarsi in diversi modi e raramente è asintomatica, e quando si avverte una colica renale è bene approfondire, anche per evitare di compromettere la funzionalità renale».In questo ambito l’indagine strumentale consiste nell’ecografia e nella TAC solitamente senza mezzo di contrasto, ed altri esami ematici per verificare la presenza o meno di una insufficienza renale; tra questi la cratinina, l’azotemia, etc. Inoltre si esaminano le urine per verificare la presenza di calcio, citrato, magnesio, etc. Nel 70% dei casi non si può intervenire, ma nel restante 30% si può impedire la formazione di altri calcoli con la somministrazione di farmaci. La calcolosi urinaria può indicare la presenza di altre patologie. Ad sesempio, l’eccesso di acido urico può causare la calcolosi delle vie urinarie. Ma come si può trattare la calcolosi? «Nella maggior parte dei casi – ha spiegato il clinico – con la terapia medica (o trattamento per via endoscopica); somministrazione di antidolorifici (fans steroidei), e se i calcoli non sono grandi e posizionati nell’uretere, la terapia è espulsiva con farmaci che aiutano ad espellerli. Altre terapie mediche servono  per prevenire la ri-formazione dei calcoli, e in taluni casi la calcolosi renale è trattabile con la litotrissia extracorporea ad onde d’urto; tale tecnica non comporta alcuna manovra invasiva sul paziente, il quale deve solo sdraiarsi sulla macchina appoggiando il fianco su un cuscino pieno d’acqua all’interno; mentre è sempre più raro il ricorso alla terapia chirurgica». In tema di prevenzione della calcolosi renale il relatore ha ricordato che bisogna tener presente la famigliarità, ma è bene in ogni caso seguire una corretta alimentazione non ricca di acidi, controllare il proprio peso corporeo, controllare la presenza di malattie metaboliche e possibilmente, come è ormai noto da tempo, bere almeno  1,5 litri nelle 24 ore; oltre ad una dieta, alcalizzazione delle urine, assunzione di vitamina B6, e trattamento mirato delle infezioni acute.Un buon controllo dipende anche dalla collaborazione tra il proprio medico di famiglia e lo specialista urologo.

Foto di Giovanni Bresciani

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