A lezione di riconoscenza con Randy Pausch

di Marcella Onnis

Quando si legge un libro come L’ultima lezioneLa vita spiegata da un uomo che muore, scritto da Randy Pausch con la collaborazione di Jeffrey Zaslow, ci si aspetta di imparare tanto ma anche di commuoversi tanto. Effettivamente è ciò che accade ma – perlomeno per il lettore che non abbia visto il video della celebre last lecture del prof. Pausch – c’è anche una grande sorpresa: qui c’è pure tanto da ridere. Più che un libro o una lezione per universitari, infatti, questo è un gioco didattico per adulti, che insegna facendo divertire chi vi partecipa. Ed è risaputo che ciò che si impara divertendosi resta più a lungo impresso nella mente.

Di Randy Pausch, della sua triste vicenda umana, della sua last lecture e di questo libro in cui l’interessato la racconta, ampliandola di ulteriori dettagli personali e altre utili considerazioni, si è detto tanto e non saprei proprio aggiunger nulla di utile. Non potrei, infatti, dir di più né meglio di quanto già ci spiega lui sulla vita e, in particolare, sul come e perché inseguire i propri sogni o, meglio, far in modo che siano loro a venirci a cercare. Ho scelto, pertanto, di non recensire il libro ma di condividere con voi, come un pensiero a voce alta, due preziose riflessioni che mi ha suggerito.

Entrambe – così come l’essenza di queste pagine – sono già racchiuse dentro la dedica iniziale, di cui vi riporto la parte strettamente connessa agli aspetti su cui io intendo soffermarmi: «Con gratitudine per i miei genitori, che mi hanno permesso di sognare […]»


Lezione n. 1: i mentori.

Solo i presuntuosi possono pensare di non avere o non aver avuto  bisogno di maestri per imparare a vivere bene. Randy Pausch non era un presuntuoso, per cui ha reso onore e merito ai suoi maestri, a partire da quelli che dovrebbero essere per ognuno di noi i primi e i più importanti: i genitori.

Che il loro ruolo per lui sia stato fondamentale lo si intuisce sin dalla dedica e lo si comprende ancor meglio addentrandosi nel contenuto di queste pagine o anche soffermandosi sulla sola forma. La versione e-book consente agevolmente di sciorinare un po’ di numeri grazie alla semplice combinazione CTRL+F per cui posso dirvi che la parola “genitore”, al singolare o al plurale, compare 56 volte, 39 il termine “mamma/madre”, ben 67 “papà/padre” (se l’autore fosse stato un italiano forse il rapporto sarebbe invertito o perlomeno non così sproporzionato; in ogni caso, tranquillizzo le mamme che stanno leggendo: Pausch ha dato alla sua, a quella dei suoi figli e a tutte le madri del mondo un riconoscimento qualitativamente equo).

Non sono più un’amante dei numeri da quando, ai tempi del’Università, mi sono resa conto che quella che conoscevo non era matematica ma un suo ritratto sfocato, tuttavia, penso anch’io che, tante volte, i numeri si rivelino preziosi quanto se non più delle parole per capire la dimensione di un fenomeno o la portata di un concetto.

Che abbiamo avuto o no dei bravi genitori, crescendo abbiamo, tuttavia, bisogno anche di altri maestri, di altre guide o, meglio, di altri mentori. Uso questo termine – più serioso di “maestro”, vocabolo che userei nel linguaggio quotidiano – perché con questa riflessione voglio sottolineare la solennità di questo ruolo. Che il sostantivo “mentore” sia adatto al mio scopo me lo conferma, del resto, la definizione usata nel dizionario on line della Garzanti linguistica: “Consigliere fidato, guida saggia, precettore” (per inciso, avrei voluto usare la definizione del mio dizionario cartaceo in onore delle mie radici ma, sarà che è una versione “minore”, non vi ho trovato le parole che mi aspettavo di trovare e che, ahimè, il moderno internet, invece, mi ha saputo fornire).

Ma chi è il mentore? Può presentarsi sotto talmente tante vesti che credo sia davvero raro non averne incontrato mai uno nella propria vita.

Può essere la maestra delle elementari che ti insegna i rudimenti della lingua inglese, compresa la canzoncina dell’alfabeto che ti permette tutt’oggi, dopo un paio di secondi di esitazione (il tempo di recitarla a mente) di rispondere senza indugio che “no, la J e la K non vengono dopo la V come W, X e Y” (infatti vengono prima della L).

Può essere il professore di liceo o di università che ti spreme fino all’osso, ma che ti insegna a pretendere sempre il massimo da te stesso e a impegnarti dall’inizio alla fine quando vuoi davvero ottenere qualcosa.

Oppure può essere l’allenatore di football – come per Randy Pausch, che era americano –  o di calcio – come per l’italiano tipo che non possiamo fare a meno di chiamare Mario Rossi. Colui che ti insegna la finta di gambe, quella vera e quella figurata, molto più preziosa della prima: «Il secondo tipo di finta di gambe è quello davvero importante – ed è un modo di insegnare cose che non ci si accorge di avere imparato finché non ci si trova proprio in mezzo. Se vi siete specializzati nella finta di gambe, il vostro obiettivo recondito è di far capire a chi vi sta di fronte solo quello che voi volete che capisca. Imparare la finta di gambe è assolutamente vitale.»

Ancora, può essere l’amico che è o è stato ad un passo dalla morte e che ti insegna a dare il giusto peso alle cose, a dare un taglio drastico alla lista dei motivi per cui vale veramente la pena arrabbiarsi e troncare rapporti umani.

O il cugino che ti vede intento a percorrere sicuro una strada prima ancora che tu possa anche solo immaginare che vorrai provare a percorrerla.

In aggiunta o in alternativa, può trattarsi della sorella che ti insegna con il suo modo di essere che poche parole bastano, perché sono i fatti a fare la differenza, e che, di norma, la profondità di un sentimento è inversamente proporzionale alla facilità con cui lo si esterna.

Può essere perfino il proprio capo, quello che ti dice senza giri di parole quali sono i tuoi difetti, che costituiscono o costituiranno i tuoi punti deboli, e che, aiutandoti a conoscerti davvero, ti consentirà di migliorarti. Oppure è quello che, trascinandoti in un progetto economicamente suicida, ti insegna che se la contropartita per la passione che ci ha riversato sono libertà, indipendenza e mani che stringono grate la tua mano tesa, allora i conti più importanti sono in attivo.

In ogni contesto in cui operiamo, sin da bambini, possiamo trovare mentori. E se viviamo in almeno un contesto in cui proprio non ne individuiamo uno, possiamo consolarci pensando che se lì non ci stiamo bene, evidentemente ne abbiamo tutte le ragioni.
Ma non dobbiamo mai e poi mai dimenticare quei contesti in cui, invece, bene ci stiamo. E qui siamo arrivati alla seconda riflessione.

 

Lezione n. 2: la riconoscenza.

«Balla con chi ti porta alla festa.»: la riconoscenza è una delle lezioni fondamentali che possiamo imparare da Pausch, dal modo in cui ha vissuto. Dobbiamo essere grati a chi ci ha insegnato qualcosa di utile per diventare persone migliori; dobbiamo dire grazie al Destino, a Dio o al Caso, secondo il proprio credo, per la fortuna (o le fortune) che ci ha riservato (e su questo tema vi consiglio ancora una volta di leggere Chiedo scusa di Abate e Mastrofranco, un altro “libro per la vita” che in comune con questo ha – manco a dirlo – pure la capacità di insegnare in modo bello a scusarsi in modo sincero).

«Dimostrare la propria gratitudine è una delle cose più semplici e tuttavia più nobili che gli esseri umani possono fare tra loro.» E sicuramente Pausch era un animo nobile, visto che questo libro è intriso di riconoscenza.

Anche qui le cifre sono d’aiuto. Quest’uomo ha avuto dalla vita tutto ciò che desiderava, tutto ciò che quasi tutti gli esseri umani desiderano (una bella famiglia, un amore vero, tanti soldi, un lavoro appassionante e gratificante), ma d’improvviso e molto presto ha perso prima la salute e poi, morendo, tutto il resto. Eppure, in questo suo testamento morale le parole “fortuna” e derivati compaiono 20 volte e 33 volte “grazie” e derivati contro le 10 volte delle parole “tumore” e derivati e le 28 volte della parola “cancro”.

 

Dopo aver seguito una lezione, è sempre bene fare qualche esercizio per verificare se si sono ben appresi i concetti spiegati. Se poi le lezioni sono due, per giunta così importanti, esercitarsi è d’obbligo. Non so se supererò l’esame nel Giorno del giudizio ma, speranzosa, consegno il mio primo elaborato, che finisce citando il prof. Pausch:
«[…] mi considero un ragazzo incredibilmente avvantaggiato nella vita perché avevo un padre e una madre che avevano ben compreso tante cose.»

E così ho chiuso il cerchio …

«Ma avete compreso la finta di gambe?»

 

 

 

Questo il video della last lecture tenuta da Randy Pausch alla Carnegie Mellon Univeristy il 18 settembre 2007:

 



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