I campi di concentramento in Corea del Nord sono attivi ancora oggi

 

 

 

I campi di concentramento che tanto ci appaiono lontani dalla nostra realtà in verità non sono solo un vago ricordo dell’impero di Hitler della seconda guerra mondiale, ma esistono ancora in Corea del Nord.

In Corea del Nord vengono definiti “campi di lavoro” e sono attivi da oltre mezzo secolo secondo un’indagine ONU, le notizie che ci arrivano, però, sono come al solito poche a causa della forte censura delle informazioni in Nord Corea se non fosse per alcune coraggiose persone che sono riuscite a testimoniare le terribili vicende che accadono in questi lager nordcoreani.

L’ultima testimonianza è molto recente ed è assolutamente unica perché proviene da una donna che ha lavorato come guardia in questi campi di lavoro, la prima donna a testimoniarne le atrocità.

La donna si chiama Lim Hye-jin ed ha raccontato al Daily Mail di aver lavorato, quando aveva 20 anni, per un certo periodo di tempo in un campo di lavoro come guardia, adesso è una donna di mezza età.«Venivamo addestrati a non provare nessun tipo di empatia verso i prigionieri. Ci dicevano che avevano commesso dei crimini orribili. Ora so invece che erano persone normalissime e mi sento davvero in colpa» racconta Lim, che oggi vive a Seoul. Quando aveva solo 17 anni, inizia a lavorare nel «Campo 12», a Chongo-ri, vicino al confine cinese.
Qui sarebbero state rinchiuse 10mila persone: prigionieri politici, responsabili di reati economici, criminali comuni. Due fratelli erano riusciti a scappare da uno dei campi. Li avevano ritrovati in Cina, riportati in Corea e poi decapitati, spiega l’ex guardia. «Hanno tagliato loro la testa davanti a tutti, poi hanno ordinato agli altri prigionieri di tirare delle pietre contro i corpi. Io dopo quella scena non ho mangiato per giorni». Le scene sono raccapriccianti, si ha la testimonianza anche di un altro detenuto che scappò da un altro campo e le scene erano più o meno le stesse.

Vengono rinchiusi anche bambini, per gli “errori” che hanno commesso i genitori o i nonni e vengono tutti costretti a lavorare 16 ore al giorno 7 giorni su 7, i più forti vengono mandati in miniera, come racconta la testimone: «Se gli uomini erano in salute, venivano mandati nelle miniere. Molti morivano. Una volta c’è stata un’esplosione di gas, 300 persone sono morte. Le guardie hanno chiuso la galleria anche se c’erano delle persone ancora vive dentro».

«Le donne venivano stuprate – racconta ancora – Non potevano dire no, e se qualcuna di loro rimaneva incinta doveva abortire o le veniva praticata l’iniezione letale. Se la gravidanza era in fase troppo avanzata, il bambino una volta nato veniva picchiato fino ad ucciderlo o bruciato vivo». Lim racconta di una donna spogliata e poi bruciata viva, da una guarda che semplicemente si annoiava, durante un interrogatorio. «Non c’era rispetto neanche per i morti, i corpi venivano messi uno sopra l’altro e poi bruciati».

La donna ora vive in Sud Corea e teme che «la situazione oggi sia ulteriormente peggiorata».

Secondo il rapporto dalla Commission per i diritti umani delle Nazioni Unite nei campi di lavoro in Corea del Nord sono state rinchiuse tra le 600mila e i 2 milioni e mezzo di persone, in mezzo secolo. In 400mila sarebbero morte per le torture, la malnutrizione e le esecuzioni sommarie.

Fonte: Corriere.it

 

Lorenzo Toninelli

 

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