Sofia, la bambina farfalla senza cure per i giudici. L’appello dei genitori al ministro della sanità

 

 

 

 

IL MINISTRO della Sanità Renato Balduzzi che cerca di reagire al diluvio di accuse e insulti su Facebook; il gruppo «il ministro aiuti la piccola Sofia» che in poche ore ha raggiunto decine di migliaia di iscritti. E la storia dei «bambini farfalla», che durano una sola stagione perché condannati da un male incurabile, commuove una bella fetta di italiani, grazie alla denuncia di Caterina Ceccuti, collaboratrice de La Nazione e madre di Sofia. Alla sua bambina di 4 anni, ha dedicato anche un libro, «Voa Voa». E nel suo nome contesta una giustizia a macchia di leopardo che, a seconda della città, dà ai bambini malati di leucodistrofia metacromatica, che paralizza e rende ciechi, la possibilità di curarsi con le cellule staminali.

DALLE 23 DI IERI non riesco ad alzarmi un attimo dalla scrivania. Centinaia e centinaia i messaggi di solidarietà, tra telefono e social network, che piovono addosso a me, mio marito e soprattutto alla nostra piccola Sofia. «Siamo con voi ogni secondo»; «Ministro Balduzzi mettiti una mano sulla coscienza»; «Da quando vi abbiamo visti in TV sentiamo forte la rabbia per l’ingiustizia che state vivendo». Il motivo di tanta indignazione è la mancata somministrazione della seconda infusione di cellule staminali con Protocollo Stamina che gli Spedali Civili di Brescia avrebbero dovuto dare a nostra figlia … se soltanto il giudice del lavoro di Firenze non avesse deciso che era meglio di no. Tutto è cominciato ieri sera quando dal programma Tv «Le Iene» io e mio marito abbiamo lanciato un appello al ministro Balduzzi per ottenere il prosieguo delle cure compassionevoli per nostra figlia Sofia: 3 anni e mezzo, affetta da Leucodistrofia Metacromatica.

Il suo male è neurodegenerativo, terminale, privo di qualsiasi possibilità di cura farmacologica. E pensare che prima dell’anno e mezzo Sofia sembrava perfettamente sana. Un pomeriggio del giugno 2011 comincia a zoppicare, s’ingarbuglia con le parole, perde l’equilibrio. Nel giro di pochi mesi Sofia, la nostra Sofia è diventata invalida al cento per cento. Non parla più, non si muove più. Non ci vede.
 

A SETTEMBRE 2012 ci viene fatto il nome del dottor Davide Vannoni e della cura compassionevole che la sua «Stamina Foundation» somministra gratuitamente presso gli Spedali Civili di Brescia. Si tratta di una terapia lunga un anno di 5 infusioni a base staminali mesenchimali. Tentiamo. C’è solo un problema: da qualche mese Ministero della salute e Agenzia nazionale del Farmaco hanno ravvisato irregolarità nella convenzione che lega Spedali Civili di Brescia e Stamina. Le cure si bloccano. Per i bambini malati, che già dopo le prime infusioni avevano cominciato a migliorare – si spegne la scintilla della speranza. L’unica soluzione sembra quella escogitata dalla famiglia della piccola Celeste Carrer (affetta da SMA1): il ricorso all’ex articolo 700 presso il TAR di competenza della propria città di residenza. Celeste vince e porta a casa la terapia completa.

Ci provano anche gli altri pazienti, da tutta Italia, e quasi tutti vincono. Anche Sofia, dopo una prima delibera d’urgenza che serve a salvarle la vita, il 10 dicembre ottiene la prima infusione e comincia ad avere miglioramenti certificati da diversi professionisti delle migliori strutture pubbliche sanitarie. Non è più completamente cieca, ha reazione pupillare. Muove lentamente gli arti. Per un periodo deglutisce meglio e non soffre più del vomito neuronale che a Natale stava per portarcela via. Poi, la doccia fredda: dopo il confronto delle parti, il 22 gennaio il tribunale di Firenze decide per Sofia «Sì alle staminali. No alle staminali con protocollo Vannoni». Le cure per Sofia si bloccano sul nascere. Sofia, che il 2-3 febbraio avrebbe dovuto ricevere la seconda infusione, ricomincia a degenerare e oggi si trova nuovamente in pericolo di vita.

Da qui l’emergenza di presentare «il nostro caso» in Tv e sui giornali. Di venti e più famiglie che hanno ricorso all’ex articolo 700, solo Sofia ed altre due sfortunate hanno avuto le cure negate. Mi chiedo perché, in un Paese che si dice civile e democratico, la stessa cura venga somministrata regolarmente ad alcuni e negata ad altri con l’unica discriminante del potere decisionale di un giudice del lavoro.
 

SECONDO il «consenso informato» che abbiamo firmato a Brescia il giorno dell’unica infusione fatta a Sofia, ne occorrono 5 per stabilizzare eventuali risultati. Il mio appello al Ministero è perché regolamenti una situazione vergognosa. Nessuno parla di guarigione, nessuno grida al miracolo. Si parla di vita e di dignità. 

 Fonte: La Nazione

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