Roma

Andavamo insieme, mano nella mano, a bere al Testaccio e ascoltavamo musica fino al mattino, ogni tanto Luca suonava, lo chiamavano sul palco a sostituire qualcuno e gli davano qualche lira. E lui tirava avanti. La prima latteria che apriva era nostra, ci rifugiavamo lì, un cappuccino ed una brioche appena sfornata per coprire un vuoto allo stomaco che non colmavamo mai. Cibarsi era l’ultima cosa a cui pensavamo. Eravamo pazzi, pazzi ed incoscienti, innamorati persi infilati dentro al nostro amore. Accecante ed esclusivo. Ci ingozzavamo di caffè e cornetti per stare in piedi, poi suonavamo a casa di amici, una doccia e via su un letto di fortuna, per non tornare a casa mia dove la mamma non accettava Luca,  perché aveva i capelli lunghi, suonava la chitarra e scriveva canzoni. “Ah, sei te? Anvedi, te sei portata quello là, er musicista. Ma che stai a fa’? Co uno così te sei annata a mette! Quello non c’a voia de lavorà, da’ retta a me trovate n’artro!” E la paternale, o meglio la maternale, non finiva più. Luca che mi veniva dietro e sentiva tutto balbettava un imbarazzato – buonasera signora- poi offeso si defilava senza farsi sentire, prendeva il motorino e tornava in quel monolocale che lui chiamava pomposamente casa, ma che altri non era se non un buio scantinato, con la muffa alle pareti ed un infimo bagno che conteneva a malapena il wc. “E’ vero, casa mia è uno schifo, ma di più non posso permettermi” mi diceva “ma stai sicura che alla musica non rinuncio, dovesse cadermi il soffitto sulla testa.” Io già lavoravo, lavoretti saltuari che mi permettevano di continuare a frequentare i corsi all’università senza pesare nel budget familiare e lui studiava musica, frequentando il conservatorio con impegno. Quando Luca ebbe il primo contratto con una piccola casa discografica, ci tuffammo subito alla ricerca di appartamenti in vendita a Roma, perché buttare via i soldi con gli affitti ci sembrava estremamente stupido. Trovammo un monolocale carino, a piano terra, con un giardino che conteneva a malapena qualche vaso di basilico e prezzemolo, ma noi eravamo strafelici. Era la nostra prima “vera” casa insieme. Ricordo che quando ci consegnarono le chiavi lui mi prese in braccio, ancora pesavo in modo ragionevole e mi depositò nella nostra sala pranzo- cucina- camera da letto senza fatica. Quella notte ci amammo come non era accaduto mai e forse Carolina fu concepita lì, in quell’appartamentino di Centocelle dal quale ci trasferimmo qualche anno dopo, quando a Luca cominciò a lavorare con una major. Oggi che giriamo per il mondo tra una tournée e l’altra, la nostra vecchia casa a Roma è il nostro punto di riferimento più importante, il nostro approdo sicuro. La mamma? Non si è ancora rassegnata e malgrado i nostri conti correnti non siano in rosso, e nostra figlia frequenti il liceo, lei continua a chiedermi ostinata: “Ma sei sicura che voi sta’ proprio con quello là, er musicista, perché a me me pare strano…”

Francesca Lippi

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