Pillole di indignazione. Stéphane Hessel dixit

di Marcella Onnis

“Indignati” e “indignazione” sono termini che cominciano ad essere abusati e – come sempre in questi casi – a venire a noia. Ma, così come i figli non devono scontare le colpe dei padri, così le parole e i concetti non dovrebbero subire le conseguenze negative dell’uso improprio o, peggio strumentale, che noi ne facciamo. Essi hanno, invece, il diritto di essere tutelati. Un diritto che per noi implica anche il dovere di restituir loro il significato con cui sono nati, il contesto che li ha partoriti (e su questo tema vi rimando agli illuminanti saggi di Carofiglio, La manomissione delle parole, e Zagrebelsky, Sulla lingua del tempo presente).

E se c’è qualcuno che può “risarcire” per questo uso travisato le parole e i concetti con cui ho esordito è senza dubbio colui che, suo malgrado, ne ha anche favorito l’abuso: Stéphane Hessel.

Il suo pamphlet Indignatevi, scritto a 93 anni, è divenuto in poco tempo un best seller, scatenando una reazione sociale che forse neanche l’autore aveva previsto e che, però, probabilmente non è stata del tutto fedele allo spirito con cui lui ha sperato di ispirarla.

Per chi non lo sapesse, Stéphane Hessel, scomparso a fine febbraio, ha vissuto molte vite: eroe della Resistenza francese, coestensore della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948), ambasciatore per la Francia in diversi Paesi del mondo, collaboratore del segretariato generale dell’Onu e di vari personaggi politici francesi.

Anche se il suo breve scritto è nato dall’osservazione critica della Francia sotto Sarkozy, prendendo come punto di riferimento i valori della Resistenza francese, per noi italiani è molto facile trovarvi punti di contatto con il nostro presente e passato che potrebbero aiutarci a reindirizzare il nostro futuro. Cito alcuni dei passaggi per noi più eloquenti e significativi:

«Una vera democrazia ha bisogno di una stampa indipendente […] Ora è proprio questo che oggi è in pericolo.»

«C’è chi ha il coraggio di sostenere che lo Stato non può assicurare più i costi di queste misure civili e sociali. Ma come può mancare oggi il denaro per mantenere e prolungare queste conquiste dal momento che la produzione di ricchezze è aumentata considerevolmente dalla Liberazione, periodo in cui l’Europa era in rovina?»

«Abbiamo avuto questa grave crisi economica, ma non abbiamo di contro avviato una nuova politica di sviluppo

Tanto importanti quanto inascoltate da certi pseudo-indignati sono anche le parole dedicate alla violenza. Parole che, indirettamente, costituiscono una ferma, razionale e coerente risposta a coloro che oggi (e sono fin troppi) invocano la crisi come alibi per le più svariate forme di aggressività, fisica e verbale:

«L’esasperazione nasce da una negazione di speranza. Comprensibile, direi quasi naturale, ma ugualmente inaccettabile. Perché non permette di ottenere i risultati che può eventualmente produrre la speranza.»

«Sono convinto che il futuro appartiene alla nonviolenza, alla conciliazione tra le culture differenti. È per questa via che l’umanità dovrà superare il suo prossimo traguardo.»»

«[…] la violenza volta le spalle alla speranza. Bisogna preferirle la speranza, la speranza della non-violenza. È la strada che dobbiamo imparare a seguire. Sia da parte degli oppressori che degli oppressi, bisogna arrivare ad un negoziato per eliminare l’oppressione; è questo che permetterà di vincere la violenza terroristica. Perché non si deve lasciare accumulare troppo odio.»

E se qualcuno, pur consapevole della gravità degli atti terroristici, volesse continuarne a sostenerne l’utilità, per smontarlo gli basta una breve frase: «Il terrorismo non è efficace.»

Parlavo prima di pseudo-indignati perché c’è chi ha condiviso il moto di ribellione di Hessel, ma non anche lo spirito con cui l’ha partorito e il fine che lui gli ha attribuito. Una convinzione che, pochi giorni fa, hanno contribuito a rafforzare questo tweet  di Social Stocks Survey (sguardo acuto su politica e società civile, seguito su Twitter da oltre 16.000 utenti) e i relativi commenti:

 

 

In queste tre opinioni per me si racchiude il problema dell’eredità di questo pamphlet. Trovo, infatti, che alcuni – come Citypatarantola – lo ritengano sopravvalutato più per il fatto che molti ne abbiano ignorato o travisato il significato profondo che non per una sua intrinseca debolezza. Io credo che l’intenzione dell’autore fosse sia di esaltare l’indignazione come valore – come afferma Giovanni Santoro – sia di esortare all’azione, all’essere positivamente critici e dunque propositivi. Perché – come ben sottolinea Social Stocks Survey – è la proposta che può davvero fare la differenza, che ha il potere concreto di cambiare (in meglio) le cose:

«[…] se, oggi come allora, una minoranza attiva si drizza, ciò basterà, avremo il lievito affinché la pasta gonfi.»

«Auguro a tutti voi, a ciascuno di voi, di avere il vostro motivo di indignazione. È una cosa preziosa. Quando qualche cosa vi indigna come sono stato indignato io per il nazismo, allora si diventa militante, forte ed impegnato. Si raggiunge la corrente della storia e la grande corrente della storia deve proseguire grazie a ciascuno. E questa corrente va nel senso di una maggiore giustizia, di più libertà ma non questa libertà incontrollata della volpe nel pollaio.

Questi diritti di cui la Dichiarazione universale ha redatto il programma nel 1948, sono universali. Se incontrate qualcuno che non ne beneficia, compiangetelo, aiutatelo a conquistarli

L’invito all’azione emerge chiaramente anche in quest’altro passo, che ricorda il celebre “Indifferenti” di Antonio Gramsci («Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti […]», clicca qui per leggere l’intero testo):

«È vero, le ragioni di indignarsi possono sembrare oggi meno nette o il mondo troppo complesso. Chi comanda, chi decide? Non è sempre facile distinguere tra tutte le forze che ci governano. Non si tratta più di una piccola elite di cui comprendiamo chiaramente l’operato. È un vasto mondo che sappiamo bene essere interdipendente.

[…]

Il peggiore degli atteggiamenti è l’indifferenza, dire “io non posso niente, me ne infischio”. Comportandovi così, perdete una delle componenti essenziali che ci fa essere uomini. Una delle componenti indispensabili: la facoltà di indignazione e l’impegno che ne è la diretta conseguenza

Da cosa partire, dunque? Lui ci propone «due grandi nuove sfide:

1. L’immenso scarto che esiste tra i molto poveri ed i troppo ricchi e che non cessa di aumentare. […]

2. I diritti dell’uomo e lo stato del pianeta.»

Ma ognuno di noi può, aguzzando l’ingegno e mettendo in moto la propria sensibilità, trovare le sue piccole o grandi battaglie perché, come ci insegna Hessel, «Creare è resistere. Resistere è creare.»

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *