Perché leggere “La valle dell’orco” di Umberto Matino

di Marcella Onnis

Faccio parte di quella schiera di lettori che durante le vacanze estive amano dedicarsi, in particolare, ai gialli. Tuttavia, è per puro caso e grazie ad un amico padovano conosciuto su aNobii se, proprio in questo periodo, sono incappata in un gran bel giallo d’autore, spruzzato di noir: La valle dell’orco (Foschi editore, 2007), primo romanzo di Umberto Matino.

Un esordio letterario che ha tutta la personalità di una carriera letteraria matura: la scrittura è curata e vivace, anche grazie al ricorso ad espressioni dialettali; la trama è avvincente, ricca ma non eccessivamente ingarbugliata, e coronata da un finale molto efficace… che tanto ha fatto discutere i lettori, come racconta lo stesso autore nelle postille che arricchiscono la seconda edizione del romanzo (2011).

Altro elemento di forza è senza dubbio l’ambientazione: un borgo montanaro (contra’ Brunelli, frutto della fantasia di Matino) che, «attraverso gli scritti di Aldo» (a suo modo uno dei protagonisti della storia; leggere per comprendere), esercita sul lettore lo stesso effetto che ha avuto su Carlo (altro protagonista, amico di Aldo), ossia farlo «precipitare in un’atmosfera che lo impauriva e lo affascinava».

Volendo proprio trovare un punto debole in questo romanzo, direi che alcuni dialoghi risultano poco naturali in quanto i vocaboli e le espressioni usate sono più tipiche della lingua scritta che non di quella parlata. E non sempre, inoltre, le battute sembrano rispettare il principio della “verità del personaggio”: in alcuni casi la lingua utilizzata risulta, infatti, troppo ricercata per quello che si presume essere il livello culturale di colui che parla.

A parte questo trascurabile dettaglio, il valore de La valle dell’Orco è indiscutibile e non stupisce affatto che la prima edizione abbia venduto ben 10 mila copie. Oltre all’abile tecnica sfoggiata dall’autore, infatti, colpisce l’accuratissimo lavoro di ricerca da lui svolto, spaziando dalla storia alla cultura, dalla geografia all’agronomia passando per la meteorologia, testimoniato dalle numerose note e dalla ricca bibliografia. In questo tempo in cui la superficialità e il pressapochismo vanno per la maggiore, Matino e il suo romanzo riaccendono le speranze di sopravvivenza per l’accuratezza, la competenza, la serietà… e la pazienza.

La ricerca svolta dall’ingegnere e scrittore veneto è abbastanza esplicitamente finalizzata a due obiettivi. Il primo, valorizzare, contribuendo a difenderla dalle aggressioni della “modernità” e del livellamento socioculturale, la specificità della contrada montana, «sia nel bene che nel male, sia nella sua rustica bellezza che nella sua cupezza, sia nella sua amena serenità alpestre che nel suo ineluttabile disfacimento» . Il secondo, diffondere la conoscenza della cultura cimbra e delle origini germaniche di buona parte della popolazione che risiede nelle zone montane di Vicenza e Verona. Origini indicate da numerosi studi in materia ma dalla maggioranza degli interessati  dimenticate se non del tutto ignorate, come racconta lo stesso autore nelle postille. Da qui l’idea di raccontarle – riuscendo perfettamente nell’intento – «in maniera semplificata, ma assai più suggestiva».

Consapevolmente o meno, però, Matino ha fatto per noi lettori qualcosa di più che ricordarci quanto sia importante rispettare i luoghi, naturali e antropizzati, perpetuare la tradizione e nutrire le nostre radici: è facile trovare, infatti, tra queste righe anche un invito a guardare le cose da una prospettiva diversa da quella da cui siamo soliti osservare e valutare la realtà circostante. Penso, ad esempio, ad un passaggio in particolare, che ha il suono e il sapore amaro di uno schiaffo morale: «Molto più selvaggi sono i visitatori della domenica, gli escursionisti del week-end: si aggirano per la contrada ciarlando e schiamazzando come fossero a casa loro, non si rendono conto che la contrada è la casa dei contradaioli, un grande condominio orizzontale senza portineria e citofono, ma non per questo meno privato e famigliare.
I gitanti si affollano nei vani scala, sui pianerottoli di questo condominio entrando e uscendo senza chiedere permesso. Arrivano quassù con le loro auto che parcheggiano per ogni dove, come se i campi non fossero di nessuno; fanno pic-nic accendendo fuochi, gridando e cucinando in qualsiasi boschetto come se i boschi fossero dei giardini pubblici o dei parchi di divertimento; raccolgono tutto, castagne, funghi, mirtilli, fragole, si comportano come un branco di cinghiali grufolanti e sradicano ogni cosa senza chiedere permesso, senza dire grazie. Se un montanaro brontola, o gli chiude la porta in faccia, o fa finta di non vederli per riuscire a sopportarli, ecco che scatta l’accusa: è lui l’intrattabile, il selvatico, il primitivo.»

Ogni luogo – ci dice tra le righe l’autore – ha un suo equilibrio, le sue regole. Per questo, anziché affrettarci a giudicare un microcosmo a noi sconosciuto, dovremmo sospendere ogni valutazione in attesa di conoscerlo … e comprenderlo.

1 thought on “Perché leggere “La valle dell’orco” di Umberto Matino

  1. Ma la Romilda come fa a camminare più veloce con la neve alta , fine molto brutale e inconcepibile, beh ora vediamo il prossimo , quando esce ??

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *