“Nati due volte” di Giuseppe Pontiggia: il libro

pagina del romanzo Nati due volte con spazi bianchi

copertina del saggio su Giuseppe Pontiggia di Rossana Dedoladi Marcella Onnis

Il mio viaggio in e con Pontiggia comincia grazie al regalo di un caro amico “Giuseppe Pontiggia – La letteratura e le cose essenziali che ci riguardano” di Rossana Dedola. Non conoscendo ancora l’autore, però, ho preferito anteporgli la lettura di un suo romanzo e, guidata da un’autorevole consigliera, la mia scelta è caduta sulla sua ultima pubblicazione: “Nati due volte”. Ciecamente mi sono fidata, infinitamente ringrazio. E sobriamente cercherò di spiegarne il motivo, memore di questo aforisma di Pontiggia, estrapolato dal’opera: «È l’eccesso a tradire la menzogna, la verità non ama i superlativi

LE COSE ESSENZIALI CHE LO RIGUARDANO
Per poter “assorbire” completamente questo romanzo e questo autore, comunque, mi è stato indispensabile il saggio di Rossana Dedola. La grandezza di Pontiggia come scrittore, intellettuale e uomo non poteva emergere completamente in “Nati due volte”, né potevo comprendere appieno quest’ultimo senza conoscere qualcosa di più su chi l’ha scritto. Se è vero, infatti, che, come ho già avuto modo di affermare, un’opera letteraria dovrebbe essere valutata in sé, senza lasciarsi condizionare dal giudizio che eventualmente si dà della persona che l’ha scritta, è altrettanto vero che per capirla appieno è molto importante conoscere il pensiero dell’autore. E il pensiero è inscindibile dall’esperienza personale, dall’approccio con cui si affronta la vita. Tutti aspetti su cui Rossana Dedola si sofferma, non per sciorinare opinabili  e fantasiose ricostruzioni ma ragionando sulla testimonianza diretta dell’interessato e sui fatti che lo riguardano.

Da questo suo serissimo lavoro emerge il ritratto di un uomo più positivo e dotato di senso dell’umorismo di quanto la biografia e l’atmosfera dominante di certe sue opere potrebbero lasciar supporre. Che è poi l’idea suggerita già dalla foto in copertina dove Pontiggia è immortalato mentre sorride aperto e luminoso, a riprova di quanto sia veritiero quanto scrive in “Nati due volte”: «È il riso che rivela gli uomini, non il pianto». Ma questo saggio fa anche di più: fa sì che il lettore possa scoprire in Pontiggia un maestro di lettura, scrittura e vita.

Mi sono voluta soffermare su questa pubblicazione perché è, innanzitutto, un bell’esempio di critica letteraria per l’accuratezza dell’analisi e la varietà delle fonti, impreziosita da interviste allo scrittore condotte dalla stessa autrice e da testimonianze di altri artisti e intellettuali che ebbero la fortuna di conoscere Pontiggia o, addirittura, Peppo. In più, la piacevolezza dello stile – già evidente in “Pinocchio e Collodi”, altra pubblicazione di Rossana Dedola – ne fa un’opera a cavallo tra saggistica e letteratura.

A chi – saggiamente – decidesse di leggere questo saggio do giusto un’avvertenza: la seconda parte si addentra in modo molto approfondito su singole opere di Pontiggia, per cui chi non ha ancora letto tutta la sua produzione e non ama lo spoiling bene farà a selezionare i capitoli da leggere subito e quelli da leggere dopo gli scritti cui si riferiscono.

copertina del romanzo Nati due volteUN ROMANZO AUTOBIOGRAFICO?
Dal saggio di Rossana Dedola ho scoperto con stupore che qualcuno mette in dubbio che “Nati due volte” possa definirsi romanzo. Meglio di me può confutare questa tesi lo stesso interessato che, a una domanda della scrittrice su tale circostanza, così rispose: «Il romanzo può includere meditazione, riflessioni, passi che noi abitudinariamente ascriveremmo alla saggistica, ma che in realtà fanno corpo col romanzo».

Appurato che di romanzo si tratta, resta il dubbio se sia o meno un romanzo autobiografico. Il sospetto viene subito non solo per l’uso della prima persona – che trae sempre in inganno non pochi lettori, anche avveduti – ma anche e soprattutto per l’intensità e la precisione con cui vengono descritti situazioni e sentimenti legati all’handicap. La risposta a questo dubbio, inconfutabile e illuminante, si trova sempre nel saggio di Rossana Dedola: a questo riguardo, nell’intervista che le concesse nel 2002, Pontiggia le chiarì che la sua intenzione non era scrivere una testimonianza autobiografica. Più esauriente ancora era stato nell’intervista rilasciatale l’anno precedente: «Non direi che sia autobiografico se noi attribuiamo a questo termine il senso di una volontà di raccontare i fatti così come si sono svolti, una fedeltà a un’ipotetica, per me molto aleatoria, verità storica. […] siccome non vedevo altre possibilità per raccontare l’handicap che questa forma autobiografica, e questa forma io la rifiutavo, non ho mai scritto niente sul tema dell’handicap per trent’anni.»

L’impronta in parte autobiografica, del resto, è suggerita dall’autore stesso che ha scelto di dare al suo protagonista (il professor Frigerio) il cognome di sua madre Angela. Stessa scelta che, anni dopo e con i dovuti distinguo, ha fatto anche Riccardo Gazzaniga per il suo alter ego in “A viso coperto”.

UN ALBUM DI FOTOGRAFIE
Romanzo sì, autobiografico nì, ma le definizioni lasciano il tempo che trovano. Ciò che conta è ciò che le parole comunicano a chi legge. E a me personalmente “Nati due volte” appare un po’ come un album di ricordi dell’io narrante, anzi, più che di ricordi di foto, Un album in cui le polaroid in bianco e nero sono alternate, in ordine non cronologico ma sicuramente logico, a foto digitali ad alta risoluzione. La trama, è facile intuirlo, non è l’elemento fondamentale: qui contano i pensieri, le emozioni, gli stati d’animo, le riflessioni. Eppure, non manca la perizia tecnica che ci si aspetta in un buon romanzo, compresi sviluppi non prevedibili, se non veri e propri colpi di scena. Sotto il profilo tecnico colpiscono, inoltre, i dialoghi, così efficaci da dare al lettore quella sensazione di curiosità mista a imbarazzo di quando si origlia una conversazione altrui in spiaggia o sull’autobus.

pagina del romanzo Nati due volte con spazi bianchiMa a dare veridicità alla narrazione e a coinvolgere emotivamente chi legge è, soprattutto, la coesistenza di aspetti drammatici e comici, nella vita di rado nettamente scindibili. Sempre nell’intervista del 2002 rilasciata a Rossana Dedola, Pontiggia racconta di aver avuto delle perplessità riguardo alla scelta di «mobilitare registri diversi», in particolare per parlare di handicap (in un determinato capitolo l’autrice individua il tragico, il comico, il satirico e l’ironico, ma ciò vale anche per l’intero romanzo in generale). Questa perplessità è, però, riuscito a superarla dopo essersi – giustamente, aggiungo io – «convinto che proprio se volevo prima di tutto scrivere un romanzo autentico, vero, possibilmente bello, dovevo mobilitare tutti i registri che potevo […]».

Oltre alla «forza del linguaggio» (di cui era vero conoscitore e interprete), della sua tecnica straordinaria fanno parte anche gli spazi bianchi. Spazi che un lettore mediamente attento – come chi scrive – “assorbe” correttamente ma inconsapevolmente e che, invece, una lettrice precisa e competente come Rossana Dedola coglie puntualmente in tutta la loro esistenza fisica e comunicativa: «Lo spazio bianco che impone il silenzio richiama anche il lettore a una pausa meditativa perché è in gioco qualcosa di molto profondo che lo riguarda direttamente». Ma per sapere cosa, di queste pagine, ci riguardi direttamente vi rimando all’articolo “Nati due volte” di Giuseppe Pontiggia: il percorso.

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