Michele Serra e gli Sdraiati …ascoltati da seduti a Cagliari

copertina del libro Gli sdraiati di Michele Serra

Ospite del festival “Leggendo metropolitano”, Michele Serra ha parlato a Cagliari del suo libro “Gli sdraiati”, ma anche di vecchi e nuovi modelli culturali, di (non) conflitto generazionale, di scuola… Il tutto cucito con piacevolissima (auto)ironia.

Locandina di Leggendo metropolitano 2014di Marcella Onnis

Domenica 8 giugno 2014 si è chiusa a Cagliari la VI edizione del Festival internazionale di letteraturaLeggendo metropolitano che, per quattro giorni, ha animato lo splendido quartiere di Castello. Prohairesis – l’associazione culturale che ha organizzato il festival – ha messo in piedi un programma ricco e senz’altro capace di portare in città più cultura e turismo che non il Rally d’Italia, difeso a spada tratta dall’assessore comunale ai Trasporti Mauro Coni, dopo le polemiche sulla chiusura di via Roma e l’inevitabile congestionamento del traffico.

Sfortunatamente, delle tante interessanti attrattive ho potuto seguire solo l’incontro con Michele Serra, peraltro “ignorantemente”, visto che ancora non ho letto il suo libro “Gli sdraiati. Il mio sarà, dunque, un resoconto monco e forse indegno, ma spero che gli spunti di riflessione che ho comunque potuto raccogliere bastino a farmi perdonare dai voi lettori.

L’incontro, intitolato “L’arte di stare sdraiati”, si è svolto giovedì 5 giugno 2014 e, per l’occasione, Michele Serra è stato affiancato da Michele De Mieri. Ad ascoltarli un pubblico numeroso distribuito tra le file di sedie, il muretto di cinta del Bastione Saint Remy e la scalinata che porta a via Canelles.

DATE ALL’OPERA QUEL CHE È DELL’OPERA
La prima riflessione che vi trasmetto è tratta dall’esperienza personale di Michele Serra, che a De Mieri e al pubblico ha spiegato quanto sia difficile per un giornalista assumere le vesti di narratore. Può accadergli, infatti, di subire critiche che risentono di preconcetti “importati” dal giudizio che di lui si dà come giornalista. Ci sono stati colleghi e critici – ha raccontato – che, per esempio, hanno interpretato il suo romanzo in maniera fantasiosa perché condizionati dalle sue opinioni politiche e dall’etichetta di radical chic che si porta dietro. E questo è uno dei motivi per cui ha dovuto ergersi a difesa del suo testo. Fortunatamente, però, in questo compito non è stato solo: «I lettori hanno “salvato” il testo dal contesto» ha raccontato. E sarebbe giusto dire Lettori, con la L maiuscola, perché sono davvero tali solo quelli che sanno valutare un’opera in sé, senza preconcetti, senza lasciarsi influenzare dalla convinzioni personali riguardo all’autore, soprattutto se giudicato come persona e non artista e/o per quanto fatto e detto in contesti e situazioni slegate dalla sua attività letteraria.

Michele Serra e Michele De Mieri parlano del libro Gli sdraiati al festival Leggendo metropolitano LETTERA DEL DOPO-PADRE AL FIGLIO
Quel che ora so di questo libro lo ho appreso dai due Michele, soprattutto De Mieri, fin troppo generoso nel condividere con il pubblico la sua profonda conoscenza del romanzo. Quest’utimo è stato da lui definito un monologo e anche “una lettera al figlio”, evoluzione delle “vecchie” lettere al padre, sulle quali troneggia la celebre lettera di Kafka. «È un trattato ironico su cos’è, su cosa fa un padre» ha spiegato De Mieri. E a rendere più universale la spiegazione “scientifica” contribuisce l’anonimato dei due protagonisti, padre-narratore e figlio.

Chiedere quanta esperienza personale ci sia in queste pagine è d’obbligo in casi come questi e la risposta di Serra non ha destato stupore: «Questo “dopo-padre” – come si autodefinisce – mi assomiglia parecchio. E il figlio è un po’ un riassunto dei tanti ragazzi con cui mi è capitato di convivere negli ultimi anni».

BARBARI, SDRAIATI, SURFISTI
“Tanti”, però, non significa “tutti”: l’autore ha specificato anche in questa occasione che, ovviamente, non crede che tutti i giovani rientrino nel prototipo degli “sdraiati”. E chi vi rientra, invece? I “figli orizzontali”, quelli che “in genere dormono quando il resto del mondo è sveglio, e vegliano quando il resto del mondo sta dormendo”, gli amanti del “surfing culturale” o della “cultura orizzontale”, per sintetizzare un concetto espresso già otto anni fa da Alessandro Baricco nel suo “I Barbari – saggio sulla mutazione”. Con piacere e, al contempo, sconcerto lessi quelle pagine nel 2006, quando il saggio uscì a puntate su Repubblica, per cui ho molto gradito che Michele Serra le abbia chiamate in causa. E lo ha fatto perché ciò che lui descrive è una perfetta esemplificazione di quanto teorizzato anni fa da Baricco. Per chi non avesse letto nessuno dei due libri, entrambi gli autori mostrano come il modello culturale oggi dominante, perlomeno tra i più giovani, sia una forma di conoscenza che predilige la vastità alla profondità, che tocca tutto o quasi lo scibile umano, restando però in superficie, senza approfondire nulla.

Non potendo riportare passaggi del libro di Serra, cito un passaggio molto eloquente di Baricco: «Quel che insegna Google è che c’è oggi una parte enorme di umani per la quale, ogni giorno, il sapere che conta è quello in grado di entrare in sequenza con tutti gli altri saperi. Non c’è quasi altro criterio di qualità, e perfino di verità, perché tutti se li ingoia quell’unico principio: la densità del Senso è dove il sapere passa, dove il sapere è in movimento: tutto il sapere, nulla escluso. L’idea che capire e sapere significhino entrare in profondità in ciò che studiamo, fino raggiungerne l’essenza, è una bella idea che sta morendo: la sostituisce l’istintiva convinzione che l’essenza delle cose non sia un punto ma una traiettoria, non sia nascosta in profondità ma dispersa in superficie, non dimori dentro le cose, ma si snodi fuori da esse, dove realmente incominciano, cioè ovunque. In un paesaggio del genere, il gesto di conoscere dev’essere qualcosa di affine al solcare velocemente lo scibile umano, ricomponendo le traiettorie sparse che chiamiamo idee, o fatti, o persone. Nel mondo della rete, a quel gesto hanno dato un nome preciso: surfing (coniato nel 1993, non prima, preso in prestito da quelli che cavalcano le onde su una tavola; di solito scopano molto). La vedete la leggerezza del cervello che sta in bilico sulla schiuma delle onde? Navigare in rete, diciamo noi italiani. Mai nomi furono più precisi. Superficie al posto di profondità, viaggi al posto di immersioni, gioco al posto di sofferenza. Sapete da dove viene il nostro caro vecchio termine cercare? Porta nella pancia il termine greco kìrkos, cerchio: avevamo in mente quello che continua a girare in cerchio perché ha perso qualcosa, e lo vuole trovare. Capo chino, sguardo su un fazzoletto di terra, tanta pazienza e un cerchio sotto i piedi che sprofonda a poco a poco. Che mutazione, ragazzi.»

copertina del libro Gli sdraiati di Michele SerraNel suo saggio – l’ha ricordato anche De Mieri – Baricco non condanna questa nuova cultura che spopola tra coloro che noi conservatori, amanti della cultura dell’approfondimento, consideriamo, appunto, barbari. Anzi, ne sembra affascinato, non ritenendola necessariamente peggiore della vecchia. Per Serra, invece, la cultura dei barbari o sdraiati – per usare la sua terminologia – potrebbe non essere necessariamente migliore. Scettico, dunque, ma non aprioristicamente. Prova ne sia il fatto che – come ha raccontato al pubblico di Cagliari – si è trovato in difficoltà quando un blogger romano, con grande naturalezza, ha così controbattuto alle sue opinioni critiche: «Anche io sperimento tante cose e non ne approfondisco nessuna. Ma che problema c’è?» Trovare una risposta da dargli – ha confessato – è stato effettivamente difficile perché l’approfondimento – «tanto caro alla sinistra» ha precisato, mostrandosi più autocritico di quanto sicuramente lo credono i suoi detrattori – non sempre ha portato risultati. E forse alla base della nascita e del proliferare di questo nuovo modello culturale ci sono anche tali fallimenti. Così lascia pensare, infatti, quanto ha affermato più tardi da Serra stesso: «Il mondo è cambiato perché ci sono dei modelli che non reggono alla prova dei tempi».

BENEDETTO SIA IL CONFLITTO
Nuovo vs vecchio; giovani vs adulti; figli vs padri: il conflitto generazionale, sempre esistito, per Michele Serra non è un male. Anzi: «Il conflitto è molto formativo. Io sono grato per questo a mio padre e mia madre. […] La lite è molto formativa perché, rifiutando l’ordine, le regole, sei costretto a farti un’idea di tesi e antitesi, per poi farti una tua sintesi. […]». Ma «oggi mi sembra che non ci sia più nemmeno il terreno per il conflitto. C’è una specie di strana attesa, un magma».

LUNGI DA LUI LA TUTTOLOGIA
Anche in quest’occasione, Michele Serra ha voluto precisare la portata del suo romanzo, che non si propone di impartire insegnamenti: «Non sono uno psicanalista, un pedagogista». Ed è un sollievo vedere che esistono ancora giornalisti, intellettuali, pensatori… che non si atteggiano a tuttologi e, anzi, si premurano di circoscrivere la portata e la validità delle proprie affermazioni. Così come fa piacere sentirgli dire che non trova giusto parlare a nome dei figli-sdraiati, ipotizzare le ragioni delle loro (non) scelte. E, contrariamente a quanto si potrebbe credere, c’è anche molta comprensione verso le difficoltà che i ragazzi vivono ogni giorno: «L’adolescenza è un inferno non solo per i genitori, ma anche per gli stessi figli».

Da adulto, si è sentito di dare loro giusto un suggerimento: «L’unica cosa che potrei consigliarvi è di scegliere: non tutto è meritevole di attenzione. […] Anche nella vastità, scegliere di dire “sì” o “no”.» Accettata – a malincuore – l’idea che la profondità sia ormai un concetto obsoleto, il giornalista-scrittore resta, infatti, convinto che anche nel “mondo orizzontale” fare delle scelte sia possibile, se non doveroso.

Michele Serra seduto mentre firma una copia del suo libroLA CURA DELLA BELLEZZA
Michele Serra e il suo dopo-padre non vogliono, dunque, dare lezioni, impartire precetti morali. «Il padre non ha un assillo etico ma estetico» ha precisato riguardo al suo protagonista. Cerca, cioè, con il figlio «una complicità nel luogo estetico meno “compromettente”: la Natura. Si chiede: “Chissà se riusciremo mai a vedere lo stesso paesaggio insieme…”». E poi ha aggiunto, con un calore capace di neutralizzare la brezza notturna: «La vera ansia di questo padre è non riuscire a trasmettere bellezza, la bellezza della vita […] Il conflitto tra generazioni è sempre esistito: l’ansia di questo padre – e, confesso, anche la mia – è che si possa interrompere la trasmissione della cura della bellezza […] Tutto il resto, per me, è rimediabile. Questo, invece, lo vivrei come un lutto».

GENITORI E INSEGNANTI: A OGNUNO IL SUO RUOLO
Toccare l’argomento scuola, quando si parla di libri simili, è inevitabile, per cui Serra – pur scherzando sul fatto che teme questo tipo di domande – non è stato colto impreparato dalla spettatrice che gli ha chiesto se crede in questa istituzione: «È difficilissimo rispondere. Certo che ci credo: dobbiamo credere nella scuola, nella cultura… Il problema è capire se ci crede la classe dirigente». E poi ha confessato di preferire il vecchio modello di scuola, in cui i genitori erano meno presenti, in cui – per dirla con parole mie – questi lasciavano fare gli insegnanti agli insegnanti. Anche, perché, a volerlo fare bene, il mestiere di genitore è già di per sé molto, molto impegnativo…

IL GIOCO
L’edizione 2014 del festival aveva per tema “I giochi dell’essere”. Nella presentazione di questo incontro il legame con tale tema era così esplicitato: “Essi [gli adolescenti, gli sdraiati, ndr] non giocano, vivono così. Il gioco tra i conflitti. Le occasioni perdute, il montare del senso di colpa senza alcuna scusante per i figli e per i padri”. Ma, dopo aver ascoltato l’autore, mi viene da pensare che il suo romanzo-riflessione possa essere considerato esso stesso un gioco o, meglio, un invito a giocare. A cosa? A invertire i ruoli: gli “acculturati” o “civilizzati” potrebbero, cioè, fingersi allievi e i “barbari” o “sdraiati” maestri (di modernità). Perché se ci si mette nei panni degli altri, si impara sempre qualcosa, sempre ci si ricrede su qualche convinzione che sembrava inattaccabile e, talvolta, si trova pure, inaspettatamente, un punto di incontro.

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