L’handicap artistico

Nessun confine tra l’arte e la malattia. Esempi celebri che hanno fatto storia e cultura

 

di Ernesto Bodini
(giornalsita scientifico)

Forse non è a tutti noto che l’artista ha antenati illustri. Il primo compare nella Bibbia, quando con il fango modella l’uomo animandolo poi con il soffio vitale. Da allora, l’arte, fusione di materia e spirito, ha sempre accompagnato la storia umana nelle sue varie realtà storico-sociali e psicologiche. Dimensioni, queste ultime, ben intuite ed espresse da due personalità molto diverse, distanti tra loro oltre quattrocento anni come Cosimo il Vecchio, fondatore della dinastia fiorentina dei Medici che affermava: «Ogni pittore dipinge sé», ed Edward Munch (autore del noto “L’urlo”, nella foto in alto) che scrisse: «I miei quadri sono il mio diario». Insieme, e indipendentemente, concordando con quanto poi affermato dalla psicoanalisi: l’arte, comunque intesa, è un meccanismo proiettivo del suo autore e quindi rivela anche la psicopatologia. A questo proposito, senza citare il famoso Vincent Van Gogh (suo l’autoritratto nella foto in basso), si può ricordare che Annibale Carracci e Giovan Battista Piranesi soffrissero di depressione (termine allora già in uso, ma oggi troppo generico). Così pure il Pontormo, affetto da nevrosi ipocondriaca, e Antonio Ligabue, affetto da turbe comportamentali avvicinabili alla serie schizofrenica, come dimostrano i suoi gesti autolesivi e la forte aggressività espressa anche cromaticamente dai suoi animali. Colpiti da psicosi schizofrenica furono anche Dino Campana in letteratura e Camille Claudel in scultura, che prima dell’era psicofarmacologica dovettero concludere la loro vita in ospedale psichiatrico.

In questo contesto si collega il discorso, oggi molto attuale, delle varie “arti-terapie”, meglio definibili come attività espressive di una sofferenza psichica così profonda da essere inesprimibile alle parole e ad ogni altra modalità relazionale. Ed esprimerla, in qualunque modo, può essere il primo indispensabile passo per la liberazione con l’aiuto concomitante di altri interventi psicologici e farmacologici. Inoltre le arti-terapie possono rivestire anche funzioni riabilitative nei ritardi mentali e nei disturbi delle motricità comunque originati. Anche in altri campi non mancano esempi di patologie, più settoriali e quindi meno devastanti, che hanno in qualche modo condizionato i necessari pre-requisiti operativi di specifiche forme artistiche. Così sono insorti, sia pure tardivamente, deficit visivi in pittura (Monet) e in letteratura (Joyce) e sordità in musica (Beethoven su tutti). In altri casi, con mirabile funzione documentaristica, l’artista raffigura particolari patologie senza esserne affetto, rappresentate per scelta da Durer con la “Melencolia”, o per realismo da Bronzino (“Ritratto di Laura Battiferri”) con “Il gozzo”. E ancora. Masaccio con “Gli storpi” nella cappella Brancacci o da Piero della Francesca con “Un nano” nel Corteo del Ritrovamento della vera croce. Questi esempi, oltre a molti altri, che dimostrano lo stretto e imprescindibile intreccio dell’arte con la vita e con tutte le sue espressioni, tra cui patologie e handicap. Intreccio che tuttavia permette alla vita di sognare l’arte, e all’arte di vivere la vita.

 

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