Raccontonweb: “La sventurata rispose” di Lucia Bonanni

facciate del Castello del Trebbio con cancello chiuso

facciate del Castello del Trebbio con cancello chiusoIl vecchio campanile aveva già suonato la mezzanotte e il buio era talmente buio che non si vedeva  neanche l’oscurità. Di minuto in minuto la pioggia si faceva sempre più fitta e un vento ostinato tormentava i rami scheletriti.
Nella fioca luce dei lampioni un uomo camminava lungo  i vialetti del giardino pubblico. Il mantello a ruota, il cappello tirato sugli occhi, il bavero rialzato ne nascondevano le fattezze, mentre  la valigetta in una mano e l’ombrello nell’altra ne inceppavano l’andatura.
Al secondo piano della casa di fronte si vedeva una finestra aperta. Nel riquadro della luce accesa la folta capigliatura della donna sembrava ancora più bella mentre la vestaglia da camera non ne sminuiva la morbidezza delle forme.
Ma chi erano i due personaggi? Erano forse due innamorati che si davano appuntamento per salutarsi di nascosto? Oppure l’uomo era uno sconosciuto che se ne andava per i fatti suoi e la donna una persona insonne che cercava di ingannare il tempo?

“Ivan, è a te  a te che scrivo! Non sono più la persona di prima, la ribelle che passava intere giornate sotto le mura del carcere. Oggi sono una nave piegata, sempre piú povera e senza amici”.
“Giulia, lo sai, conservo tutto di te! Non mi é consentito fare spostamenti. Sono controllato. Darei troppo nell’occhio”.
Si aspettava tutt’altro, Giulia, da quella lettera. D’istinto accartocciò il foglio e lo gettò nella scatola di cartone. Ripensò a quando era andata via dalla propria città. Le tornò a mente che era partita senza progettare un percorso definito. Rivide l’appartamento che divideva con Irina e le sembrò ancora più tetro.
Non aveva neanche vent’anni, allora! I capelli raccolti sulla nuca, le linee del viso, le movenze discrete, la quieta riservatezza anche nel vestire rimandavano ad una femminilità quasi sfuggente.
Si notava, invece, una noncuranza d’anima in quei capelli slavati, appiccicati sulla fronte, mal pettinati, quei capelli che Irina usava portare sciolti sulle spalle. Dalle fessure degli occhi saltava fuori uno sguardo freddo,  inquietante.  La bocca marcata dal rossetto, l’atteggiamento altero, l’abbigliamento osato nel taglio e nei colori, più che ad una signora dell’alta società la facevano assomigliare ad una cortigiana di alto rango.
Ma che cose strane avvengono tra gli individui! Che dinamiche si possono instaurare nelle relazioni tra persone!

“La sventurata rispose” si leggeva negli atti di un processo che era durato giusto il tempo di un’istruttoria sommaria.  Il magistrato  che aveva emesso la sentenza doveva amare molto le lettere per aver riportato quelle parole. Oppure l’essenzialità di quella donna insieme al fanatismo della verità aveva suscitato dubbi, incertezze, timori.
Scorie di pathos attanagliavano Giulia.
I ricordi la soffocavano: il rumore di una porta sfondata, le risate scomposte, la violenza subita, poi le sbarre, il panorama sempre uguale, l’isolamento, il buio, la solitudine.
Ma che follia, la sua! Che pazzia l’aver risposto al saluto dell’uomo che le lanciava occhiate ammiccanti da dietro lo spioncino della cella. E che scellerato pensiero quello di cercare una via di scampo tra i reietti di un sistema perverso.
Ancora una volta il demone dell’amore aveva manipolato menti e dannato anime. E ancor di più la trappola dell’amore aveva  rivelato tutto il suo potere allorché Irina non aveva tardato a seminare odio nell’animo del direttore.

“L’imputata si alzi!”, e una teoria di accuse rimbalzò davanti a Giulia come i grani di un rosario sfilato. “Niente diritti. Soltanto doveri. Dobbiamo sempre fare il nostro dovere e il vostro dovere, cara signora, era quello di restare estranea a certe vicende”.
Era soltanto lei la colpevole! Era soltanto lei che ogni giorno sotto le mura del carcere mandava a memoria le parole dei prigionieri e le portava in massaggio ai loro congiunti. Era lei, in quanto donna, la sola capace di seduzione e inganno. Era stata lei a circuire Ivan, il suo vigilante, per ottenere la libertà anche per gli altri detenuti. Era stata ancora lei che si era vista strappare dal petto il figlio neonato. Ed era ancora lei che era rimasta sola mentre l’uomo era tornato alla sua famiglia.

E adesso chi erano quei due personaggi? L’uno che di notte si aggirava nel parco e l’altra che se ne stava nel vano della finestra illuminata?
Erano, forse, gli spettri dell’eterno ieri che ritornavano e si davano appuntamento?
Oppure era l’unico artificio possibile che prendeva forma nella loro non-vita e nel loro non-tempo?
Un vento ostinato tormentava i rami abbruniti e richiamava le ombre. Il vecchio campanile aveva già suonato la mezzanotte, quando i due si salutarono.
Di minuto in minuto la pioggia si faceva sempre più fitta e il buio era talmente buio che…

Lucia Bonanni

Di quest’autrice abbiamo già pubblicato “La multa, “Il sentiero della maternità”, “Sarò lì ad aspettarti”, “Argento vivo” e “Il killer”

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