“Il meglio per noi”, romanzo d’esordio di Cecilia Bernabei

copia del romanzo Il meglio per noi con segnalibro promozionale

Cos’è il meglio per noi? E, ammesso e non concesso che si riesca a trovare la risposta, quanto e cosa costa perseguirlo? Con il romanzo “Il meglio per noi”, Cecilia Bernabei getta brillantemente il lettore tra tali quesiti esistenziali …e lascia che da solo ne fuoriesca.

copia del romanzo Il meglio per noi con segnalibro promozionaledi Marcella Onnis

Con il romanzo “Il meglio per noi” Cecilia Bernabei “tradisce” temporaneamente il teatro per la narrativa, ma senza rinnegarlo. Per questa sua opera prima la casa editrice ChiPiùNeArt ha confezionato un bel biglietto da visita: un’edizione elegante la cui copertina è impreziosita dall’opera “Archetipo 1982” di Nicoletta Casale, peraltro ripresa, in alcuni suoi particolari, dal segnalibro promozionale.

Il romanzo è, innanzitutto, un efficace strumento per ricordarci che la stessa realtà può essere interpretata – e quindi vissuta – in modo diverso dalle singole persone che vi sono coinvolte. Sarebbe, tuttavia, errato credere che in queste pagine le uniche prospettive siano quelle dei due protagonisti-narratori: man mano che si avanza nella lettura e soprattutto grazie ai realistici dialoghi, fanno, infatti, capolino anche i punti di vista di altri personaggi.

In questa rete di relazioni – che solo a poco a poco, come del resto accade nella realtà, rivelano la loro vera natura, il loro reale equilibrio – spicca il rapporto tra Lorenzo, protagonista maschile, e sua madre. Un rapporto che si staglia sugli altri – forse anche su quello tra lui e Lia, protagonista femminile – non solo per la sua bellezza e genuinità, ma anche perché ci ricorda che, tante volte, l’appoggio può arrivarci dalle persone più insospettabili, persone che amiamo ma di cui – spesso senza motivo – temiamo il giudizio.

La scrittura è curata e brillante, capace di alternare e a volte fondere umorismo e amarezza. Per la loro incisività e personalità spiccano, in particolare, alcuni frammenti, tra cui l’incipit. Sono frammenti che si sottraggono all’avvicendarsi delle due voci narranti e in cui la paternità dei pensieri che racchiudono non è attribuita: per questo, sono dotati di vocazione universale e ben si attagliano a entrambi i protagonisti come a un qualunque lettore. È soprattutto in queste pagine che emergono le potenzialità dell’autrice ed è un peccato che tali frammenti – e l’atmosfera sospesa che riescono a creare – non abbiano avuto più spazio. L’augurio è, quindi, di ritrovare queste potenzialità pienamente espresse in una successiva opera.

Sarebbe comunque errato credere che il resto del romanzo risulti anonimo. Innanzitutto, si conclude degnamente con un finale non scontato e molto realistico, molto umano. In secondo luogo, Cecilia Bernabei utilizza ogni pagina, ogni movimento della scena, per frugare dentro l’animo umano, curiosare tra le sue stanze, sollevare i tappeti e tirarne fuori tutta la polvere. Polvere che, una volta smossa, potrebbe anche farci soffocare. Maschere, convenzioni, scelte di comodo, rassicuranti alibi, ipocrisie e luoghi comuni («la nostra bibbia», li definisce l’autrice)…: ben poco delle nostre quotidianità viene risparmiato, ben poco delle nostre certezze resta immune da scossoni. Tra le poche che escono indenni, la consapevolezza che «le cose importanti restano nell’anima e nella memoria e non sbiadiscono, non invecchiano, non subiscono i danni del tempo. Le cose che hanno un valore si conservano intatte».

A spietato esame l’autrice sottopone, in particolare, le relazioni di coppia e colpisce, in proposito, l’indubbia verità che «L’amore eterno esiste se lo costruiamo noi». Peccato, però, che le istruzioni per costruirlo non siano disponibili e che la riuscita dell’operazione possa richiedere sacrifici più o meno onerosi, soprattutto se è vero che «Per mantenere anche il più piccolo equilibrio bisogna mentire […]». Sul punto e a prescindere dal fatto che se ne condivida il contenuto, colpisce, inoltre, questo scambio di battute, non a caso ripreso anche nella seconda di copertina:
«- Gli uomini e le donne hanno due visioni del mondo inconciliabili.
– E le coppie che funzionano?
– O si annoiano a morte, o nascondono segreti.»

Ma l’amore non è certo l’unico argomento di analisi: queste pagine ci obbligano a confrontarci anche con la morte, con il dolore e con il modo di affrontarlo («C’è una vita prima e una vita dopo. Ma è sempre vita. Raccogli quello che rimane e vai avanti.», suggerisce l’autrice, concludendo l’intenso frammento iniziale). O, ancora, con la genitorialità, la felicità, la «logorante vita contemporanea» in cui non c’è «mai un momento solo per una cosa sola» e poi con l’autolesionismo, il tradimento e la mancanza di onestà verso gli altri ma soprattutto verso se stessi, con l’insoddisfazione e con l’ossessiva ricerca di obiettivi sempre più ambiziosi. Ma ciò su cui più dobbiamo riflettere è questo:

«[…] viviamo per afferrare attimi di felicità, la nostra; ma poi ci scopriamo a inseguire progetti diversi che nulla hanno a che vedere con le personali inclinazioni. Provo una grande invidia per quelli che hanno avuto il coraggio di seguire il loro istinto, di fronte a tutto, che si sono sentiti liberi, anche davanti al peso delle necessità, che hanno avuto il fegato di continuare a volersi bene e gratificare se stessi al di sopra di ogni cosa. Persone che non hanno sentito il bisogno di un appoggio, che ce l’hanno fatta da sole, che non hanno temuto il confronto, la polemica, la disapprovazione dei più. Individui che hanno alzato la testa e camminato controvento, che non si sono fermati a pensare alle conseguenze, che hanno lottato per affermare la propria indipendenza di pensiero, che hanno combattuto per le loro passioni, che hanno sudato sangue per affermare la propria dignità.»

Parole che, tuttavia, non è forse corretto interpretare come un invito a cedere a ogni nostro impulso, incuranti del dolore che così potremmo causare agli altri, quanto piuttosto come un’esortazione a ponderare meglio le nostre  scelte e a far sì che rispecchino il nostro essere autentico. Scelte che, possibilmente, dovrebbero prevenire quegli errori che poi sono causa di sofferenza tanto per noi quanto per gli altri. Facile a dirsi, ma non altrettanto facile capire cosa sia il meglio per noi

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