Firenze, assolti stupro: in 1000 contro sentenza

 

 

 

 

 

Un grande abbraccio simbolico di oltre mille persone ieri sera alla Fortezza da Basso di Firenze per contestare le motivazioni della sentenza con cui la corte d’appello ha assolto sei giovani dall’accusa di stupro di gruppo nei confronti di una coetanea per fatti che risalgono al 2008. In prevalenza sono donne le persone che stanno manifestando. “Siamo qui nel luogo dello stupro – ha spiegato Lea Fiorentini di ‘Uniti in rete’, l’associazione che ha promosso l’iniziativa – per protestare contro le motivazioni della sentenza della corte d’appello in cui si è voluto approfondire in modo inappropriato la vita e le abitudini della vittima, quasi processandola al posto dei suoi aggressori. Ma la legge deve tutelare le vittime, non processarle”. I manifestanti hanno realizzato un presidio e hanno marciato sotto i bastioni della Fortezza illuminando con torce – “per portare luce contro la violenza”, hanno spiegato – proprio i vialetti e i giardini che nel 2008 furono teatro della vicenda da cui si innescò un’inchiesta giudiziaria. Tanti i cartelli e gli striscioni esposti. Tra le scritte di critica alle motivazioni del giudice si possono leggere ‘La libertà è la nostra fortezza principale’, ‘Moralmente condannate, sessualmente giudicate ma noi siamo libere di amare’, ‘Siano processati i violenti, non le vittime della violenza’. Alla manifestazione prendono parte esponenti politici di schieramenti diversi, fra cui Sel e Forza Italia, oltre a rappresentanti dei sindacati e dell’associazionismo.

LA VICENDA

Lei aveva 22 anni, loro fra i 20 e i 25. Tutto avvenne in un’auto, a Firenze, dopo una serata trascorsa insieme. Loro erano in sei. In primo grado furono tutti condannati a quattro anni e mezzo di reclusione ma, secondo i giudici d’appello, la vicenda, pur “incresciosa” e “non encomiabile per nessuno”, è “penalmente non censurabile”. La sentenza è ormai definitiva: la procura generale non ha fatto ricorso in Cassazione. Il legale della ragazza, l’avvocato Lisa Parrini, ha subito definito la motivazione “densa di giudizi morali”. La ragazza si è sfogata su un blog: “Non riesco a vivere più nella mia città, ossessionata dai brutti ricordi e dalla paura di ciò che la gente pensa di me”. “Essere vittima di violenza e denunciarla è un’arma a doppio taglio – ha scritto – Verrai creduta solo e fin tanto che ti mostrerai distrutta, senza speranza, finché ti chiuderai in casa buttando la chiave dalla finestra”. Quindi, l’interrogativo: “Se fossi morta sarei stata più credibile?”. Secondo la Corte d’appello, con la denuncia la ragazza voleva “rimuovere” quello che riteneva essere stato un suo “discutibile momento di debolezza e fragilità, che una vita non lineare come la sua avrebbe voluto censurare”. Un passaggio che la ragazza critica con durezza: “E’ stato scritto che ho una condotta sregolata, una vita non lineare, una sessualità ‘confusa’, che sono un soggetto provocatorio, esibizionista, eccessivo, borderline. Perché sono bisessuale dichiarata, perché ho convissuto col mio ragazzo un anno prima che succedesse tutto ciò, perché sono femminista e attivista lgbt”. In primo grado, il gruppo venne condannato per aver abusato delle condizioni di inferiorità psichica e fisica della ragazza, che sarebbe stata ubriaca. Secondo l’appello, invece, il comportamento della ragazza fa “supporre che, se anche non sobria” fosse comunque “presente a se stessa”.

I giudici ritengono che il suo racconto contenga “molte contraddizioni”, che sia “vacillante” e smentito “clamorosamente” dai riscontri. Il rapporto fu una “iniziativa di gruppo comunque non ostacolata”, scrivono i giudici. I ragazzi possono aver “mal interpretato” la disponibilità della ragazza ma poi non vi è stata “alcuna cesura apprezzabile tra il precedente consenso e il presunto dissenso della ragazza, che era poi rimasta ‘in balia’ del gruppo”. Allora, ne deduce la ragazza, “per essere creduta e credibile come vittima di uno stupro” quello che conta è “il numero di persone con cui sei andata a letto prima che succedesse, o che tipo di biancheria porti, se usi i tacchi, se hai mai baciato una ragazza, se giri film o fai teatro, se hai fatto della body art, se non sei un tipo casa e chiesa e non ti meriti di scendere in piazza e lottare per i tuoi diritti. Se, insomma, sei una donna non conforme, non puoi essere creduta”. In questa storia, conclude, “abbiamo perso tutti”.

Fonte: Ansa

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