I concetti di dignità umana e rispetto per la vita espressi e manifestati dal Nobel per la pace Albert Schweitzer

Un “doveroso” contributo come “monito”, affinché le differenze etniche non abbiano più ad esistere

di Ernesto Bodini
(
giornalista scientifico – biografo)

L’eccidio di Sharpeville del 21 marzo 1960, in cui persero la vita 69 persone e i feriti furono 180, ci impone l’ennesima riflessione sul diritto di parità tra tutti gli uomini del pianeta. Per questa ragione credo possa essere utile “rievocare”, sia pur brevemente, i concetti etici perseguiti dal grand docteur alsaziano Albert Schweitzer (1875-1965), che per molti anni ha svolto attività di medico e di predicatore a Lambaréné nell’ospedale da lui fondato nella foresta africana del Gabon, ma anche prolifico scrittore di filosofia della religione e della musica. Ma al di là della affascinante vita avventurosa e ricca di aneddoti, ciò che più conta è l’esempio della sua azione e il rigoroso concetto del “rispetto per la vita”. Ed è sul principio fondamentale del suo pensiero che vorrei porre l’attenzione soprattutto perché tale concetto rappresenta il costante richiamo a quello che è sempre stato il suo credo, ossia il “rispetto per la vita” applicato in ogni ambito della attività umana che entri in contatto con esseri viventi. «L’uomo – sosteneva Schweitzer – ha la possibilità di agire in favore della vita o di recarle danno, nei rapporti con il prossimo e nel suo atteggiamento nei confronti della natura, fino a toccare i grandi problemi del nostro tempo: la pace, la crescita sociale, la cultura, la ricerca scientifica, l’ecologia». Nel corso della sua esistenza Schweitzer ha espresso questo suo principio applicandolo concretamente con il rispetto del diritto alla vita, la sua libertà e dignità, il suo sviluppo, il suo valore, intendendo per vita sia quella umana, sia quella della natura. Ha insegnato a mettere in pratica la propria idea di fondo: con l’impegno della propria vita di teologo, filosofo e medico ha impresso al proprio pensiero la rara forza del testimone, ponendo in primo piano e vivendo in prima persona la solidarietà con ogni forma di vita. Considerazioni, suggerimenti e moniti sono riportati nella pubblicazione del 1923 “Cultura ed etica”, ma soprattutto il suo contributo proviene dai testi relativi al discorso che fece in occasione del conferimento del Premio nobel per la Pace, ad Oslo nel 1953; e in occasione del discorso “Appello all’umanità”, trasmesso nel 1957 al Oslo, attraverso parecchie reti radio.

Si rese conto che tale espressione aveva in sé la soluzione del problema che lo stava assillando. Gli venne in mente che un’etica che prenda in considerazione soltanto il nostro rapporto con altri esseri umani è un’etica incompiuta e parziale, e perciò non può possedere una piena energia. Ma che cos’è il rispetto per la vita, e come nasce in noi? «Se l’uomo vuol far luce su sé stesso e sul suo rapporto con il mondo – sosteneva Schweitzer –, deve prescindere dalla congèrie (massa confusa di più cose, n.d.r.) di elementi che costituiscono il suo pensiero e la sua cultura e rifarsi al primo fatto della sua coscienza, il più immediato, quello che è perennemente presente. Solo di qui può giungere a una visione ragionata del mondo… L’affermazione della vita è l’atto spirituale con cui egli cessa di lasciarsi vivere e comincia a dedicarsi alla sua vita con rispetto per levarla al suo vero valore. Affermare la vita è approfondire, interiorizzare ed esaltare la volontà di vivere… Il rispetto per la vita nato nella volontà di vivere divenuta consapevole contiene strettamente congiunte, l’affermazione del mondo e l’esigenza morale. Essa cerca di creare valori e realizzare progressi che giovino all’ascesa materiale, spirituale ed etica dell’uomo e dell’umanità».

Il rispetto per la vita (che per Schweitzer non è una semplice, pur nobile affermazione di principio, ma una precisa dignità teoretica, che diventa la chiave di volta per la moderna capacità di giudizio sia di fronte al progresso tecnologico, sia di fronte alle sfide culturali che esso comporta) scaturisce da una volontà di vita che ha imparato a pensare, è dunque un sì alla vita, che diventa etica collettiva. Il suo compito primario è la realizzazione del progresso e la creazione di quei valori che possano favorire la crescita materiale, spirituale ed etica del singolo individuo e di tutta l’umanità. Ma sul concetto di “rispetto per la vita” Schweitzer è ancora più profondo, poiché coinvolge il concetto di “moralità” come principio fondamentale. «Un uomo è veramente morale – sosteneva – soltanto quando osserva l’obbligo impostogli di aiutare ogni vita che può assistere, e quando si fa scrupolo di uscire dalla sua strada per evitare di danneggiare un essere vivente. Non chiede quanta comprensione meriti questa o quella vita a causa del suo intrinseco valore e neppure chiede di quanta sensibilità sia dotata. Per lui la vita, come tale, è sacraQuello che oggi ci manca – proseguiva nel suo discorso ad Oslo – è riconoscere che siamo tutti colpevoli gli uni verso gli altri di atti disumani. L’orrenda esperienza collettiva attraverso la quale siamo passati deve scuoterci, perché la nostra volontà e la nostra speranza siano impegnate verso tutto ciò che può portare ad un’epoca in cui non ci siano più guerre. Questa volontà e questa speranza sono possibili solo se, attraverso uno spirito nuovo, raggiungiamo un’intelligenza superiore, che sia in grado di trattenerci da un uso infausto delle energie di cui disponiamo».

Schweitzer sosteneva che le varie Istituzioni internazionali non sono state in grado di creare una situazione di pace. «Le loro preoccupazioni – ammoniva – sono state inutili perché dovevano intraprendere questo lavoro in un mondo nel quale non era presente una mentalità orientata alla realizzazione della pace. Essendo istituzioni giuridiche (il riferimento è alla Società delle Nazioni di Ginevra e all’Organizzazione delle Nazioni Unite, n.d.r.) non potevano creare tale mentalità: questo è possibile soltanto allo spirito etico. Kant si sbagliava quando pensava di poter ottenere la pace senza questo spirito etico: la via che egli non ha voluto seguire deve invece essere percorsa». Secondo il dottor Schweitzer la presenza o l’assenza della pace dipendono dal contenuto formativo che verrà espresso dalla mentalità dei singoli e dei popoli. «L’unica cosa che oso rivendicare come originale – precisava il filosofo alsaziano – è che nella mia visione, questa verità è accompagnata anche dalla certezza che lo spirito del nostro tempo vuole creare una mentalità etica. Con tale certezza io annuncio questa verità, nella speranza di contribuire al fatto che essa non venga messa da parte come una delle tante verità che vengono espresse bene a parole ma di cui non si tiene conto in vista della realtà… Soltanto nella misura in cui, attraverso lo spirito, si risveglia nei popoli una mentalità di pace, le istituzioni create per mantenere la pace possono realizzare quanto viene loro richiesto e quanto si spera che esse possono fare».

Se i tempi suggeriscono un recupero della figura di Albert Schweitzer, a maggior ragione, quindi, devono indurre a considerare il concetto di rispetto per la vita, la cui mentalità da esso creata è d’aiuto a chi lotta duramente per conservare la propria umanità, anche per il fatto che rimane viva dentro di lui l’immagine della natura umana come un bene da tutelare ad ogni costo. «Gli impedisce di condurre in modo unilaterale – è la spiegazione sottile ma concreta del grand docteur – la lotta per ridurre la mancanza di libertà materiale e lo chiama a riflettere sul fatto che molta umanità e molta libertà interiore possono conciliarsi con la realtà della sua vita, ben più di quanto, di fatto, si realizzi. Lo spinge a conservare, se vi avesse rinunciato, la meditazione ed il raccoglimento interiore. Bisogna arrivare ad una spiritualizzazione delle masse. Ogni singolo deve giungere a riflettere sulla sua vita, su ciò che vuole ottenere per la propria vita mediante l’esistenza, sulle difficoltà legate alle circostanze esterne e su ciò cui è disposto spontaneamente a rinunciare». In questa ricerca interiore del “rispetto per la vita”, intesa in ogni sua più intima manifestazione, l’uomo deve avere la capacità di “mettersi in discussione” continuamente. La libertà interiore assurge così a parametro insostituibile per guardare nella propria coscienza e, dunque, per “mettersi in gioco”, provando a cambiare se stessi per aiutare gli altri a crescere e a vivere meglio. Certo, non tutti possono o devono necessariamente recarsi in Africa ma sicuramente possono prodigarsi in qualunque modo per quel “rispetto per la vita” che possiamo intendere pacifismo, neutralità, difesa dei deboli, giustizia e… rispetto di tutte le etnie.

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