Il nostro weekend solidale a Nuoro e Oliena con la Prometeo AITF onlus – 2^ parte

(segue)

di Marcella Onnis

Per quanto riguarda il punto di vista del donatore, a destare dubbi è stata, in particolare, la donazione da vivente, possibile – ha spiegato agli studenti la dott.ssa Zidda – per il rene ma anche per parte del fegato. «Che rischi ci sono per il donatore vivente?» ha domandato una studentessa, ricevendo risposta dalla dott.ssa Napoleone: «I trapianti da donatore vivente si fanno già da un po’. Presuppongono una compatibilità di gruppo sanguigno e, per il rene, la verifica anche di altri fattori. La Sardegna – in quanto isola e avendo quindi una popolazione che si è mescolata meno con altre – è, peraltro, tra i pochi posti in cui si effettuano trapianti anche tra non consanguinei. Per il donatore l’intervento è sicuro, così come l’anestesia. La medicina non è una scienza esatta e un problema può capitare, ma le statistiche dimostrano che sono interventi abbastanza sicuri. Dopo l’intervento, il donatore fa una vita normale. Certo, nel caso del trapianto di rene, ha un solo rene, ma, di norma, ha una normale qualità di vita.»

Anche il trapianto da donatore morto è, però, argomento di discussione: sempre la dott.ssa Napoleone ha chiarito allo studente interessato che tra il prelievo dell’organo e l’intervento di trapianto devono trascorrere meno ore possibili per il cuore (circa 3 ore), per il fegato circa 10 ore al massimo, mentre il rene può conservarsi integro anche per circa 24 ore. La dott.ssa Zidda, proseguendo sull’argomento, ha specificato cosa si intende con donatore morto o, detto più freddamente, cadavere: «un  soggetto per cui si è verificata la morte dell’encefalo (cioè il cervello non funziona più) e che, però, è stato sottoposto a ventilazione, quindi ne sono stati preservati gli organi e le loro funzioni.» Non solo: la morte encefalica è irreversibile. Come ha ribadito il dott. Runfola, «il donatore è morto oltre ogni ragionevole dubbio.» La morte encefalica, infatti, «è cosa totalmente diversa dal coma. Il cuore, in questo caso, batte ancora grazie alle macchine ma il cervello [che Gianni Carboni, da esperto informatico, ha efficacemente chiamato “il microprocessore del corpo”] è morto, non funziona più.» Il donatore , infatti, deve essere morto ma a cuore battente. Inoltre, ha concluso la dott.ssa Zidda, «è necessario che, come prevede la legge [la n. 91/1999],  non ci sia opposizione  alla donazione degli organi espressa in vita dal paziente o dai parenti dopo la morte encefalica di quest’ultimo.»

E «se una persona ha fatto una vita sregolata, può comunque donare?» ha chiesto una studentessa, ricevendo chiarimenti sempre dalla coordinatrice locale delle donazioni: «La legge regola molto quest’attività ed esclude pochissime categorie (ad esempio, i malati di HIV, i pazienti che hanno tumori con metastasi, coloro che hanno contratto il “morbo della mucca pazza” o alcuni tipi di epatiti virali cui sono associate altre problematiche). Tutte le altre persone, anche se hanno fatto una vita sregolata sono potenziali donatori. Il coordinatore locale dei trapianti propone tutti i potenziali donatori in modo che si possano sempre valutare rischi e benefici. Un organo può non essere perfetto ma può servire a salvare un paziente che rischia di morire nelle successive 24-48 ore.» Inoltre, ha proseguito la dott.ssa Napoleone, «c’è una commissione che, per sei ore, svolge esami per verificare le condizioni del potenziale donatore, anche parlando con la famiglia in modo da poter fare un’anamnesi.»

Il dono non si spreca, non va mai sprecato – come temeva una delle studentesse – perché gli organi,  come accennato all’inizio di questo resoconto, sono insufficienti rispetto ai bisogni dei malati. «Ne parliamo proprio perché le donazioni sono troppo poche. – ha spiegato il dott. Runfola – E non perché ci siano pochi morti, ma perché molte famiglie non donano.» Il medico ha, però precisato che in Sardegna le opposizioni alla donazione sono basse, intorno al 20%. Parlarne è importante anche per «prendere la decisione in modo sereno, per fare cultura su un argomento vitale per tante persone.»

Sul fronte trapiantato, gli studenti hanno voluto capire com’è la vita dopo l’intervento. «Per quanto tempo si devono fare le terapie antirigetto?» ha chiesto uno studente. «Per tutta la vita. – ha risposto ancora il dott. Runfola – Inizialmente è più pesante, poi si riduce man mano (si può arrivare anche ad una sola pillola al giorno), e in rari casi si sospende la cura. In questi casi si dice che il paziente “va in tolleranza”.» Le cure, peraltro, sono in continua evoluzione, ha specificato il chirurgo, per cui oggi, ad esempio, il cortisone non è più il principale farmaco usato per questo tipo di terapia. Ma «il trapiantato può diventare a sua volta donatore?» A questo quesito degli studenti ha risposto la dott.ssa Zidda: «In linea di massima è possibile, soprattutto per organi diversi da quello trapiantato.» Tuttavia, «è abbastanza difficile perché è una persona immunosoppressa e quindi più esposta a malattie.» Su questi aspetti, però, grande peso ha avuto la testimonianza diretta di alcuni trapiantati soci della Prometeo, tra i quali Stefania Padroni: «Sono trapiantata da neanche due anni. Prima del trapianto facevo una vita quasi normale, ma avevo un tumore che mi avrebbe portato alla morte. Dopo il trapianto è cambiato molto l’aspetto psicologico rispetto alla vita, ai valori. Ora apprezzo di più certe cose. Ho una vita di relazioni, una vita sociale migliore. In un primo momento non mi rendevo nemmeno conto, ora invece comincio a capire la grandezza di questa cosa. Ho ricevuto da una persona un grande dono.»
Raramente il trapianto di fegato si rende necessario per una donna (mentre inversa è la situazione con quello di pancreas), ma a Nuoro era presente anche un’altra donna che ha subito questo tipo di intervento: Stefania Boi. «Sono trapiantata da 3 anni e mezzo. – ha raccontato – Prima dicevo “ho una vita nuova”, ma ora dico “sto recuperando la mia vita”. Prima stavo male, ero stanca, quindi ora sto recuperando la mia vecchia vita con mio marito e i miei figli. Il mio donatore mi ha dato molto. Pensate bene a cosa vorreste fare nel caso in cui – non ve lo auguro – dobbiate prendere questa decisione-» Poi – con parole emozionate ed emozionanti – ha invitato i ragazzi ad immaginare il futuro loro e dei loro figli: quel futuro che, per qualcuno, può esistere solo grazie ad un trapianto e quindi al dono che qualcun altro decide di fargli.

Abbiamo accennato prima al trapianto di pancreas, anch’esso oggetto di quesiti e risposte, in particolare sulla sua utilità come possibile cura per il diabete. Il dott. Runfola ha chiarito che a tale intervento si ricorre per il diabete di tipo 1 – cioè quello di origine genetica e non contratto durante la vita – e che, nella maggior parte dei casi, è necessario un trapianto combinato rene-pancreas. Tuttavia, di solito risulta più conveniente curare il diabete con l’insulina piuttosto che con il trapianto del pancreas. In alcuni centri trapianti d’Italia – ha raccontato il chirurgo – si utilizza pure un’altra possibilità: impiantare cellule di questo organo (insule pancreatiche) nel fegato. Ma si tratta di una procedura non ancor ottimizzata. Il trapianto del pancreas, invece, è ben consolidato e l’unico neo è dato dal fatto che la durata dell’organo è un po’ inferiore rispetto a quella degli organi solidi.

La curiosità degli studenti si è estesa anche al trapianto di tessuti, in particolare di midollo osseo: «è o no completamente diverso da quello di organi?», hanno chiesto. La dott.ssa Zidda ha chiarito che anche il trapianto di midollo è gestito dal  Centro nazionale trapianti, ma segue un percorso diverso perché diverse sono le caratteristiche del donatore e del ricevente. Esiste un registro dei donatori da consultare e si effettuano degli accertamenti sanitari per accertare l’idoneità della persona individuata a diventare donatore effettivo. Il ricevente, di solito, è seguito da un reparto di Ematologia e può subire un autotrapianto se si trova nella cosiddetta fase di remissione della malattia (quando, cioè, le cellule malate sono state eliminate) o, in caso contrario, può essere un’altra persona a donargli il midollo osseo, che, in genere, viene prelevato dalle ossa del bacino.

L’incontro è stato ricco di informazioni ma anche di spunti di riflessione, non solo per i giovani. Una docente, anche a nome dei colleghi, ha voluto ringraziare la Prometeo AITF onlus per questa giornata, rimarcando che questi incontri di sensibilizzazione servono, ad esempio, per «far capire la differenza tra morte cerebrale e coma; per sapere che cosa si può donare da vivi perché è un gesto generoso che non induce a pensieri negativi.» In risposta alla professoressa, il presidente dell’associazione ha espresso la propria convinzione che «un compito prezioso lo hanno le famiglie e gli insegnanti, perché questo non è  un argomento marginale per i ragazzi. Come dice il dott. Zamboni [responsabile del Centro trapianti di fegato e primario della Chirurgia generale dell’ospedale “G. Brotzu”]: “Un trapianto non nasce in una sala operatoria ma nella cucina di una famiglia.”» Bisogna parlarne perché – ha spiegato Argiolas – anche se il tasso di opposizione alle donazioni nell’Isola è basso e a Nuoro in particolare rasenta lo zero, il numero di trapianti realizzati in Sardegna nel 2013 non è stato elevato, come risulta dai dati ufficiosi (quelli ufficiali non sono, infatti, ancora disponibili). E poiché, purtroppo, le morti cerebrali continuano a registrarsi, ha ribadito l’invito alle istituzioni, in particolare, all’Assessorato regionale della Sanità, a «fare in modo che tutte le Rianimazioni possano segnalare e monitorare i potenziali donatori.» Per la dott.ssa Napoleone, però, è fondamentale anche un altro fattore: «La cosa più importante è la fiducia delle famiglie nei medici. Devono essere sicure che abbiamo fatto tutto il possibile per salvare il loro familiare.» Un concetto questo che è stato ribadito dalla dottoressa e dal dott. Runfola anche nell’incontro serale con i cittadini di Oliena.

A chiudere, come ad iniziare, il prezioso incontro è stato il dirigente scolastico che, ricordando il prezioso ruolo del personale sanitario, si è così raccomandato ai suoi ragazzi  (e non solo a loro): «Ricordatevi che la nostra Sanità è la seconda al mondo. Spesso non ci riflettiamo abbastanza: i diritti e le sicurezze che dà questo Paese non si trovano altrove

(continua)

 

 

Foto Prometeo AITF Onlus

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